Thursday, 31 May 2012

Lo storico digitale tra formazione e didattica: a proposito di un articolo fantasma

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Quest'intervento è dedicato al convegno tenutosi sull'isola di Porquerolles, parte del programma ATHIS italo-francese -Ateliers Histoire et Informatique. Il programma si svolse in varie tappe tra il 2006 e il 2008, sotto la direzione di Jean-Philippe Genet per la Sorbonne, Università di Parigi 1 e di Andrea Zorzi per l'Università di Firenze. E sembra, -se si confida nella rete- che quell'articolo sia stato davvero pubblicato in Mundus. Rivista di Storia della Didattica, n.2, luglio-dicembre 2008, pp.234-238. 
Dico sembra, perché sono passati più di quattro anni e non ne ho ancora mai visto una copia ne mai ne ho saputo alcunché ! 
Sicché mi sono deciso a ri-pubblicare l'intervento tale quale in Digital & Public History.  Ri-pubblicare si fa per dire visto che non ho mai tenuto in mano questa rivista "pubblicata" e non giurerei che esisti: toccare per  credere !
Fantasma Digitale della Rivista Mundus
Eppure Mundus. Rivista di didattica della storia sembra reale e seria: possiede un comitato editoriale e scientifico di tutto rispetto. Sapranno di esserne membro ? Almeno nel mondo digitale tutto è possibile. Si dice che sia Palermitana ed appartenga all'editore Palumbo. Possiede addirittura una sua Home Page riprodotta qui accanto. E tuttavia da questa Home Page della rivista presso l'editore Palumbo si può scorgere a fatica una piccola frase "accedi al sito della rivista". Se per caso si tenta l'avventura, si arriva in un altro ambiente digitale ed ad una versione che si chiama "Mundus Online". E su quel sito sembra che sia possibile leggere il n.2 della rivista. Tuttavia il mio articoletto è sparito come lo sono anche tanti altri annunciati sulla pagine dell'editore!
Cosa sarà successo ? I misteri del virtuale sono tanti. Certo, se un autore non riesce a sapere di essere stato pubblicato e nemmeno dopo ricerche durate anni trova il suo articolo, penso che nessuno mai avrà avuto la possibilità di leggerlo. Non che sia di fondamentale importanza per le sorti della storia e della didattica digitale, ma almeno per compensare con un sorriso chi, il tempo di scriverlo lo ha messo! 
E poi si tenta ancora di rifiutare l'Open Access e di giustificare la chiusura non solo agli autori di saggi stessi, ma al pubblico dei lettori potenziali e al mondo della ricerca di riviste inesistenti come queste. Che poi esse vi propongano addirittura in rete, una versione inaccessibile nella lingua di Shakespeare, una traduzione virtuale di un digitale fantasma non aggiunge nulla alla soluzione del problema.


                                                                                                                                       

Lo storico digitale tra formazione e didattica 
 (Scritto nel 2008)

 Chiunque si affacci allo studio della storia, oggi, utilizza anche incoscientemente alcuni elementi di storia digitale. Tutti gli storici, che siano o meno accademici, scaricano e condividono informazioni in rete ed interagiscono con i suoi contenuti. A quindici anni dalla nascita del web, è possibile fare il conto dei punti di forza e delle debolezze della storia digitale, [1] per quanto l’evoluzione continua della rete esiga un aggiornamento ed un monitoraggio costante.
Lo “storico digitale” non si limita a presentare il passato in rete. Egli usa le tecnologie informatiche e l’internet in un processo virtuoso di informazione e comunicazione e, inoltre, crea, preserva e conserva le fonti digitali. Questa figura professionale non è più un esotico personaggio, lontano dai cardini tradizionali di Clio.
LAMOP: Laboratoire de Médiévistique Occidentale de Paris
In Francia, per monitorare questi cambiamenti e interrogarsi sulle varie sfaccettature della storia digitale e sui nuovi sviluppi del rapporto tra storia ed informatica umanistica, l’Agence Nationale pour la Recherche ha finanziato alcuni atelier chiamati ATHIS,[2] organizzati dal LAMOP, il Laboratoire de médiévistique Occidentale de Paris, sotto la direzione scientifica di Jean-Philippe Genet. Lo scopo del programma triennale cominciato nel 2006 e che si chiuderà con una conferenza presso l’Ecole Française di Roma nel dicembre 2008 e con la pubblicazione degli Atti, non è limitato alla storia stricto sensu, confrontata con le nuove tecnologie, ma è aperto anche ad altre discipline, oltre le frontiere dell’informatica storica, come l’economia, l’archeologia e la linguistica. Questi seminari hanno esaminato le forme dell’edizione elettronica, della produzione e dell’uso dei dati informatici di storia nonché della produzione e dell’utilizzo dei programmi informatici a disposizione degli storici.[3]
Il sesto ed ultimo seminario ATHIS, intitolato “Histoire, informatique, pédagogie [4], si è tenuto a Porquerolles, un’isoletta posta di fronte a Hyères, nel sud della Francia, dal 15 al 18 maggio 2008. Questo incontro ha avuto come oggetto i cambiamenti avvenuti nella didattica della storia con l’uso di nuove tecnologie; i curricula didattici necessari per formare uno storico digitale che possa dominare l’uso delle tecnologie informatiche e, infine, la valutazione di nuovi metodi per insegnare la storia, usando le potenzialità delle nuove tecnologie anche con alcune applicazioni informatiche tipiche del Web 2.0.[5]
Uno degli aspetti più originali di questo Atelier, è stato quello di interrogarsi sulle nuove figure professionali di Informatici Umanisti (IU), sorte di recente in Francia, e sugli sbocchi professionali degli storici “digitali”, ovvero di quegli storici che hanno ricevuto un’adeguata formazione in Informatica Umanistica.
Sala di Porquerolles, ATHIS 2008
Introducento l’atelier, Jean-Philippe Genet, professore di storia medievale alla Sorbonne, e uno dei fondatori dell’AHC (Association for History and Computing) negli anni ’80’, nonché l’inventore del concetto di meta-fonte, fondamentale per la storia digitale, ha parlato delle volontà e delle scelte politiche necessarie, sia a livello nazionale sia a livello europeo, per favorire lo sviluppo della formazione informatica degli storici. Ha sostenuto che, al contrario, la creazione di oggetti digitali come le biblioteche digitali e le meta-fonti, dipende maggiormente dagli investimenti economici (basti ricordare i costi ingenti del progetto di accesso digitale ad altissima risoluzione dei manoscritti medievali della cattedrale di Colonia, presentato da Manfred Thaller, durante il terzo atelier ATHIS a Firenze). I metodi di insegnamento agli storici delle nuove tecnologie investono anche il confronto tra modello pedagogico continentale e anglo-sassone. Quest’ultimo si ispira maggiormente al mercato e viene finanziato in modo molto più sostanzioso nei centri di eccellenza. Qui le nuove tecnologie vengono integrate sistematicamente nei curricula pedagogici.

Un curriculum di formazione per lo storico digitale ?

E’ infatti risaputo come manchi ancora, in molti paesi europei e certamente in Italia, un curriculum di studi specifico in IU e in storia digitale, a corredo della formazione universitaria tradizionale. Quali sono gli ingredienti giusti di una corretta formazione in storia digitale: la conoscenza critica della rete, le potenzialità dell’Information and Comunication Technology (ICT) e l’informatica umanistica di storia ?
Nel corso del sesto incontro ATHIS, molti sono stati gli interventi dedicati all’analisi delle nuove potenzialità dell’insegnamento e dell’apprendimento all’Università (e-learning/e-teaching), con metodi tradizionali integrati all’informatica umanistica. [6] Si è insistito sul fatto che per usare questi metodi, bisogna avere prima ricevuto una formazione adeguata. Perciò, alcuni interventi si sono dedicati al contenuto di un curriculum di Scienze della comunicazione e dell’informazione (ICT) combinato all’IU.[7] Hanno ipotizzato strategie di preparazione degli storici all’uso delle nuove tecnologie e hanno parlato di nuova formazione e di nuovi ruoli pedagogici, adattati ai cambiamenti delle tecnologie stesse; hanno, poi, cercato di individuare nuovi ruoli e nuove figure professionali, per sostenere e promuovere una doppia formazione in ICT e in IU. Infine, alcune relazioni hanno affrontato anche il problema dell’uso della matematica e dei metodi statistici nella formazione dello storico digitale[8]. Queste conoscenze costituiscono un nodo fondamentale, come ben si comprende se si pensa alla storia dell’informatica storica, la quale si basava a suo tempo essenzialmente sui metodi quantitativi.[9]
Christine Ducourtieux coodinatrice del LAMOP e della redazione di Ménestrel








E’ sufficiente fornire elementi di conoscenze di quella che i francesi chiamano la bureautique (i software di base usati per organizzare e trattare l’informazione, da Microsoft Office ai Browsers, etc..) o sarebbe meglio offrire un insegnamento più direttamente collegato alle discipline storiche ed umanistiche, che comprenda metodi di programmazione e di progettazione di base dati, prepari quindi all’uso di programmi per il trattamento delle statistiche micro e macro, e insegni a realizzare dei siti web strutturati ? In quel caso si dovrebbero sviluppare delle capacità che integrino ad un livello superiore e più approfondito le specifiche necessità disciplinari degli storici, ricorrendo all’informatica applicata alle discipline storiche.
Come accade nelle Università e nei centri per lo studio dei nuovi media digitali negli USA ed in Inghilterra, è ormai essenziale poter individuare metodi e canali pedagogici per aiutare gli storici a costruire banche dati accessibili nei siti web. Bisogna individuare i sostegni di cui essi necessitano nelle Università, nei centri di calcolo e nelle biblioteche. Inoltre, è essenziale comprendere quali conoscenze nell’ambito delle Scienze dell’informazione e delle comunicazioni (ICT) e quali strumenti informatici siano necessari per preparare gli storici alla creazione, all’uso e alla conservazione delle fonti e delle meta-fonti digitali nelle biblioteche digitali. Questi problemi, che riguardano in realtà la formazione in IU nei corsi di laurea, fanno anche riflettere, a monte, sulla necessità di fornire rudimenti di IU e di avviare percorsi di storia digitale anche nella scuola superiore e nei primi anni di Università.[10]

Formare alla selezione critica dei contenuti di rete

L’Atelier di Porquerolles ha anche fornito l’occasione per un’ampia riflessione circa la formazione critica necessaria nel campo della selezione dell’informazione e della documentazione digitale, che prepari alla valutazione dell’informazione digitale con un sostegno didattico sia nell’ambito delle biblioteche accademiche che nei corsi universitari di formazione all’IU.[11]
Alcuni connotati di base di una formazione valida per tutti, sono la capacità di selezione e di analisi critica dei contenuti dei siti web. Questi ultimi, infatti, sono inutili, se lo storico non è preparato ad usarne i contenuti digitali con una formazione appropriata.[12] Inoltre, le fonti digitali vanno differenziate e comparate per poter valutare l’informazione offerta nei singoli siti; si devono anche operare delle scelte critiche, per evidenziare i punti di vista diversi delle diverse fonti informative. Infine, bisogna formare gli studenti a distinguere i diversi tipi di informazione presenti in rete: informazione strutturata, informazione senza particolare struttura e informazione mista. In questa attività, ci si confronta con studenti di storia che provengono da realtà differenti, anche dello stesso paese, e posseggono dei livelli di preparazione alla storia digitale eterogenei, come dimostra chiaramente l’esperienza dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze, che ha studenti di dottorato provenienti da tutti i paesi dell’Unione Europea.

Perché questo tipo di formazione critica alla rete è oggi di importanza fondamentale ? Nel web, e soprattutto nella concezione del web 2.0, l’autorialità, già scossa con l’avvento di internet, non possiede più una rilevanza essenziale: e questo rende ancora più difficile il lavoro degli storici, abituati come sono ad attribuire una paternità a testi e fonti utilizzati. Inoltre, i contenuti di diversi media vengono confusi all’interno della rete stessa, dopo aver subito il processo di digitalizzazione: tutti i media vengono così integrati nel web, e riuscire ad distinguerli criticamente e valutare le loro specificità diventa sempre più complesso. Di conseguenza è fondamentale saper individuare diversi livelli di critica, applicabili ai diversi media.[13] Per di più, i nuovi contesti dei network sociali stanno generando aspettative e comportamenti nuovi in rete e producono nuove ideologie e nuovi comportamenti collettivi, che vanno interpretati con metodi adeguati. Infine, non vi è più l’idea che gli studenti debbano lavorare con un corpus ben delimitato di fonti e di testi, in quanto la rete frammenta l’informazione in “pezzi distinti” disponibili in diversi siti web, non sempre scientifici. 

Strutture per la formazione in storia digitale 

Si pone così – nel campo della IU - il problema dell’organizzazione istituzionale dell’insegnamento di nuove conoscenze. In Francia, le strutture di supporto e di formazione alle nuove tecnologie ( TICE: Technologies de l'Information et de la Communication pour l'Enseignement) preparano gli studenti a confrontarsi con l’epoca digitale, nell’intento di rimuovere le barriere ancora esistenti (digital divide), mediante un istruzione appropriata ai diversi livelli di formazione alla storia digitale.
Jean-Philippe Genet
 IInoltre, sette centri regionali specializzati, chiamati URFIST (Unité Régionale de Formation et de Promotion pour l'Information Scientifique et Technique)[14] sono stati creati per insegnare metodi di Information retrieval, di validazione delle risorse di rete e per sviluppare attività di formazione nell’ambito dell’IU. Gli URFIST preparano i futuri insegnanti di storia, ma anche gli stessi accademici ad insegnare a loro volta le basi critiche della storia digitale e, se possibile, ad avviare gli studenti all’IU.[15]
L’educazione a distanza alla storia digitale si fa anche nella rete stessa con, per esempio, il portale dell’Université Ouverte des Humanités[16] che usa tecnologie di rete per insegnare l’Information retrieval in ambito umanistico. Il portale è stato creato per insegnare ad usare criticamente le risorse di rete, nuovi strumenti digitali e nuove tecniche digitali per umanisti e storici.[17]

Nuove figure professionali: i “passeurs”

Nel 1992, Gianni C. Donno, storico leccese del movimento operaio, pubblicava un saggio su Informatica e ricerca storica, nel quale sottolineava un dato fondamentale del rapporto tra storici e computer, ovvero che ”il “pensare storico” era del tutto diverso dal “pensare informatico”[18]. L’atelier di Porquerolles si è di fatto soffermato sul problema dei soggetti che debbono offrire questo nuovo tipo di formazione, che attinge a un “pensare duplice” o, meglio, al pensare l’informatica dal punto di vista degli storici.
Antonio Brusa
SI tratta, dunque, di nuovi specialisti, di figure professionali diverse da quelle già esistenti nelle biblioteche e nei dipartimenti di storia ? E, se è questo il caso, si debbono creare nuove professioni ? O si tratta piuttosto di fornire semplicemente nuove tecniche, in aggiunta alla formazione tradizionale, senza inventare nuovi tipi di insegnanti? O è meglio appoggiarsi ai docenti meglio preparati, in modo che forniscano i rudimenti di storia digitale ? La risposta corretta pare essere la prima: bisogna individuare nuove professioni. I nuovi percorsi di formazione, forniti dalle strutture francesi indicate sopra, mettono in campo nuove conoscenze tecniche, nuove pratiche digitali, per poter insegnare le quali, vi è la necessità di creare nuove figure professionali integrate nelle istituzioni culturali, pubbliche e private. Queste nuove professioni devono essere in grado di offrire un insegnamento usando piattaforme di rete, di permettere la strutturazione di nuove attività amministrative per organizzare i corsi e lo stesso curriculum educativo ed infine, di promuovere presso gli storici attività tecniche ed informatiche nel campo dell’ICT.
Claire Zalc e Andrea Zorzi
Queste nuove figure professionali prendono in Francia il nome di Passeurs, ovvero persone professionalmente qualificate, in grado di interconnettere il lavoro degli storici con quello degli informatici.[19] I passeurs mettono insieme i loro due modi di pensare antitetici e permettono di “traghettare” le conoscenze rispettive degli storici e degli informatici. Essi parlano il linguaggio degli informatici e degli ingegneri e quello specifico degli umanisti e degli storici. Tale doppia padronanza è necessaria per risolvere i problemi epistemologici posti da questa convivenza. I passeurs sono storici di professione che praticano l’IU senza essere esclusivamente informatici. Essi sono capaci di usare sia concetti e metodi storiografici sia metodi e concetti informatici.
Tuttavia, la base dell’incontro non è quella della tecnica in sé, ma deriva soprattutto dalle necessità professionali degli storici e dalle risposte alle loro domande epistemologiche. I passeurs scoprono e promuovono nuovi metodi storiografici usando la storia digitale e il computer e aiutano gli storici a servirsene. I loro ambiti di lavoro sono certamente i centri di calcolo universitari ed i dipartimenti di storia, ma anche le biblioteche, gli archivi e altre istituzioni specializzate nel campo umanistico. 

Oltre pregi e difetti della storia digitale

Nel 2004, dopo 10 anni di sviluppo del web, Dan Cohen, storico “digitale” del Center for History and New Media della George Mason University, si chiedeva, how can we maximize the web’s advantages and minimize its disadvantages to create the best forms of online history ?
Rispondendo a questo interrogativo, è diventato lampante, oggi, quanto il web sia straordinario nel far convergere più soggetti, indipendentemente dal luogo fisico in cui si trovano, permettendo processi comunicativi sincronici e a-sincronici. La rete facilita enormemente la collaborazione, la capacità di incamerare e di condividere informazioni e dati insieme alla possibilità di caricare e di trasmettere ingenti quantità di documenti. Inoltre l’informazione può essere codificata, in modo che sia accessibile alla ricerca e al trattamento computerizzato, rimuovendo le barriere che impediscono la pubblicazione tradizionale, facilitandone la traduzione, la costante revisione e l’aggiornamento .
Per contro, si deve sempre rammentare l’instabilità e la precarietà dell’informazione, la difficoltà di presentare dei testi facilmente accessibili alla lettura usando il computer - sopratutto se comparati alle forme tradizionali di pubblicazione dei testi – e, infine, l’enorme difficoltà di discernere tra la “zavorra” e l’informazione scientifica nel web, di distinguere, in poche parole, the good from the bad.[20]
Il seminario di Porquerolles è certamente andato oltre le considerazioni, in parte datate, di Cohen sul piano di un euristica applicata alla storia digitale. Ha fatto il punto sui progressi degli ultimi anni in Francia e in Italia, nell’ambito delle scienze dell’informazione e della comunicazione, sui metodi pedagogici e sulle figure professionali nuove per una migliore formazione alla selezione e la valutazione critica dell’informazione di rete. E, nel loro susseguirsi, gli atelier ATHIS hanno effettivamente rilevato quanto la storia abbia permeato l’intera rete digitale, in forme diverse, anche a seconda dei periodi storici considerati. Vi è più chiarezza oggi su quali siano i punti di forza della storia digitale e quali siano le nuove sfide.




[1] Tommaso Detti e Giuseppe Lauricella: “Una storia piatta ? Il digitale, Internet e il mestiere di storico.”, in Contemporanea, n.1, gennaio 2007, pp.3-23.
[3] Le ricerche effettuate hanno visto la collaborazione del Centre d'Histoire Sociale du XXe siècle, rappresentato da Philippe Rygiel, del CRAHM, dell’Università di Caen, rappresentato da Pierre Bauduin, dell’École Nationale des Chartes, rappresentato da Marc Smith, dell’IRHT, rappresentato da Paul Bertrand in collaborazione con l’École Française di Roma, (Marilyn Nicoud). Reti Medievali e l'Università di Firenze, (Andrea Zorzi) sono stati i partners italiani. Il portale di storia medievale francese Ménestrel con Christine Ducourtieux e Pierre Portet ha pubblicato le informazioni su ogni Atelier e promuove i suoi documenti di lavoro.
[4]I precedenti erano stati: Atelier n.1, De l’archive à l’open archive, Atelier n.2 L’historien, le texte et l’ordinateur , Atelier n.3 L’informatique et les périodes historiques Atelier n.4 L’informatique et l’utilisation des statistiques par les historiens, Atelier n. 5 L’historien, l’espace et l’ordinateur. Il programma del VI° atelier, e parte degli interventi, sono disponibili all’URI: [http://www.menestrel.fr/spip.php?rubrique964].
[5] Serge Noiret, Des usages pédagogiques de Wikipedia, «social network» avant le Web 2.0.; Enrica Salvatori, Podcasting e Second Life nell'insegnamento della storia: considerazioni sul saper fare e il sapere.
[6] Eric Castex, Formation ouverte et à distance au service de la formation des historiens.
[7] Antonio Brusa, Insegnamento storico e tecnologie; Giulio Romero Passerin d’Entrèves, Le fond et la forme: ce que les TICE ont changé à la manière de faire un cours d’histoire; Julien Alerini, Alain Dallo, Benjamin Deruelle, Stéphane Lamassé, Enseignement et besoins de l’informatique appliquée à l’histoire: la perception des étudiants d’histoire.
[8] Claire Zalc, La place des statistiques: autour d’un manuel d’initiation à l’analyse des données.
[9] S.Noiret: “Informatica, Storia e Storiografia: la storia irremediabilmente si fa digitale”, in Memoria e Ricerca, n.28, giugno-settembre/2008.
[10] Daniel Letouzey, Le web: un outil pour enseigner l’histoire dans le secondaire.
[11] Christine Ducourtieux, Initier les étudiants à l’usage scientifique d’internet; Hervé Le Men, Internet et évaluation de l’information: intérêt de la notion de traduction pour une pédagogie de l’informatique; Brigitte Michel, De la juxtaposition à l'intégration des ressources documentaires électroniques ou comment guider l'étudiant dans sa recherche documentaire"; Marc Smith, Informatique et initiation de l’historien aux documents originaux; Marion Lamé, La formation des antiquisants à l’informatique; Martine Cocaud, L’enseignement des méthodes informatiques aux historiens: bilan d’une expérience; Andrea Zorzi, L’esegesi delle risorse digitali per la ricerca storica: alcune esperienze didattiche.
[12] A.Criscione, S.Noiret, C.Spagnolo e S.Vitali (a cura di): La Storia a(l) tempo di Internet: indagine sui siti italiani di storia contemporanea, (2001-2003)., Bologna, Pátron editore, 2004.
[13] Serge Noiret: "Visioni della brutalità nelle fotografie di rete", in Sauro Lusini (a cura di) La cultura fotografica in Italia oggi. A 20 anni dalla fondazione di AFT. Rivista di Storia e Fotografia., Prato, Archivio Fotografico Toscano-Comune di Prato, 2007, pp.88-106.
[15] “Les missions des URFIST: former le personnel des bibliothèques ainsi que le public universitaire (enseignants et étudiants avancés) à l'information scientifique et technique, et plus généralement les sensibiliser aux technologies de l'information…. (Si veda Google Custom Search all’URI: [http://www.google.com/coop/cse?cx=009587160018223562155:i0li6vrbf-i]).
[16] URL: [http://www.uoh.fr/]
[17] Un altro portale che permette una formazione a distanza simile, Theleme - Techniques pour l'Historien en Ligne: Études, Manuels, Exercices alla Sorbona, URL: [http://theleme.enc.sorbonne.fr/].
[18] Gianni C.Donno: Informatica e ricerca storica. L'archivio per la storia del movimento sindacale e altri studi., Lacaita, Manduria 1992, p.13.
[19] Sulla categoria di intermediario culturale –i traduttori- vedasi a cura di Diana Cooper-Richet, Jean-Yves Mollier e Ahmed Silem: Passeurs culturels dans le monde des médias et de l'édition en Europe (XIXe et XXe siècles)., Villeurbanne: Presses de l'Ensibb, 2005.
[20] Daniel J. Cohen: “History and the Second Decade of the Web.”, in Rethinking History, Vol. 8, No. 2, giugno 2004, pp. 293–301, qui, p.295.

Monday, 28 May 2012

Digital History: the new craft of (Public) Historians

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At the beginning, quantitative history met the mainframe computer

Emmanuel Le Roy Ladurie promoted the French School of the Annales. In his essay The Historian and the Computer (1973) he wrote that “history that is not quantifiable cannot claim to be scientific”. History had to be done only using computers. For this “nouvelle histoire”, the historian’s craft was depending first on the demographic and economic structure, then on social factors and finally, from intellectual, religious, cultural and political issues. Only historians analyzing enormous quantities of data's would have revealed the real “meanings” of history. Quantitative history would have explained the structure of historical processes and the computer was the new instrument needed to perform such a task.
The launch of a big sophisticated computer mainframes in 1953, the IBM 650, was soon used in universities to solve the epistemological problem of how to query enormous quantities of serial data’s. 

The databases organizing the historical statistical sources were using specific computational languages as John Backus IBM Fortran (1957). In the sixties the big IBM mainframes were working with magnetic tape and punched card without keyboards, storing serial data’s and answering statistical queries. In 1963, a political historian, William O. Aydelotte adopted quantitative study methodologies to describe electoral behaviors. In 1974, Robert Peter Swierenga, historian of the Dutch emigration, wrote that mainframe computers allowed universities to promote quantitative comparative history. 
  
Edward Shorter wrote a first guide on the historian and the computer in 1971. 
Historians like Charles Tilly’s writing on Computers in historical analysis in 1973, developed comparative studies based on huge statistical surveys organized through computational methods. It was necessary to use specific retrieval procedures submitting specific queries to the database. It became an alternative in the historian’s workshop to traditional methods analysis based more on the narrative and textual analysis.

Many of these quantitative studies failed because of the impossibility to recreate and verify the process. Still today, historians remain skeptical about the overall results of these computational activities and about their impact on history as a discipline. In 1979, Lawrence Stone criticized this technological and quantitative determinism based on assumptions derived from sources that nobody could have re-used. For Stone, the many quantitative studies were too formal, often useless and they dispersed an enormous amount of energies and financial means for supporting the IT teams needed to work with big computer architectures. 
The personal computer, the historical workstation and Humanities Computing. 

 The workshop of historians and computers did not collapse after the abandon of the use of IBM mainframes. The floppy disk with 130Kb was born in 1970 and the first IBM 5100 “Personal Computer” in 1975. This latest invention spread at the beginning of the 1980. 

The digital revolution started from the use of new word proceeding software’s and specific programming languages for historians which served directly individual research in stand-alone history workstations, a “microcomputer revolution for Historians” wrote Richard Jensen in 1983. This hardware and software transformation permitted a new kind of handcrafted workshop in historical research and coped better with the complexity of history not limited to serial data’s. 

Manfred Thaller inventor of Clio-Kleio
Manfred Thaller was one of the leaders of the methodological transformation of historical computation. 
Clio interface later Kleio
The new programs were able to analyse hidden semantic linkage between primary documents. In 1986 in London, an International Association for History and Computing was created to promote the use of computers in history. At the end of the 1980, Thaller invented new computing relational languages with more sophisticated retrieval capacities: the Clio -then KLEIO- software at the Max Planck-Institut für Geschichte. Kleio served to manage and access diverse typologies –not only statistics- of primary sources in the “history personal workstations”. 
But when Tim Berners-Lee created the Web in 1991, even these specific software’s build for historians became obsolete. Internet based communication started already in the 1980 with the use of e-mailing lists but grew rapidly to access library catalogues, know about the existence of archives, consult primary sources and also read historiography. Commercial software’s loaded in new lighter and cheaper personal computers were able to change again the historian’s workshop embedded in a broader digital history through internet connections and web networked activities described as the “new society of networks” by Manuel Castells. 
Edward E. Ayers (around 1997)
A new koinè, humanities computing and historical computing, with new databases, new retrieval languages to index information, semantic and textual analysis, new typologies of iconographycal and visual sources, the use of geographical information systems, etc. became soon and thanks to web based communication, a new field of historical practices called by Edward E.Ayers in 1997 as “digital history”.


Digital Turn in History: the web revolution.


Medieval Historian Jean-Philippe Genet
In 1992, the French medieval historian Jean-Philippe Genet introduced the concept of  meta-sources, the new sources created during the computing process and derivated from a “material” evidence. The first important primary sources digitization projects were loaded in the web in the second half of the 1990s in North America and Europe.
A guide to gathering, preserving, and 
presenting the past on the Web 
by Daniel J. Cohen & Roy Rosenzweig, 2005
 But today, digital history faces new interactive scenarios  integrated into what is now called  digital history 2.0. Digital primary sources are not only made of meta-sources but are often born in digital format and web sites themselves are new kind of primary sources. Large scale crowdsourcing activities in a web now conceived as a more interacting and collective enterprise, are building new invented archives. The contribution of everybody is needed to complete new web contents in a new kind of web open to many different actors. These new digital archives are offering an enormous potential for new historical inquiries in most fields, thereby redefining history as such. 

This digital turn modified the history workshop with new methodologies and new critical paradigms especially looking at the concept of “authenticity”, “stability” and “reliability” of digital artifacts and documents. The modern personal computer and other devices like smartphones and tablets are now integrated to the history workshop. Personal web station integrates hardware components like a modem, scanner, printer, CD/DVD device, webcam and digital cameras to reproduce archival documentation. New software’s embedded directly in the browser are often based on an open source technology working with other small pieces of software’s, the widgets and applets.
Transformation inside the history of digital history started in 2001 when the Wikipedia allowed to build collectively an encyclopedia. The new web of historians is connected through social networks. Digital history is becoming highly interactive, encouraging user participation and engagement of the people outside the restricted area of academic historians. Web 2.0 and soon also the semantic web 3.0, are opening history as a discipline to a wider participative public especially in the field of Digital Public History. New identities are building socially new “places of memory” in the Public History web today and are questioning the methods and paradigms defining a new digital historian craft as part of a broader discipline called "Digital Humanities". 



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Updated version of the article published in Ilaria Porciani and Lutz Raphael (eds.): Atlas of European historiography: the making of a profession 1800-2005., Basingstoke: Palgrave Macmillan/European Science Foundation, 2010, p.69.

Sunday, 27 May 2012

Constructing a Europe of Nations: National Historical Bibliographies

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In the "Atlas of European Historiography", 2010
Bibliographies are reference works made of compilations of books, journal articles, thesis, about an argument, a language, a period, a geographical area, etc.. After WWII, they started also to include new media like sound recordings, motion pictures, photographs, later videos, CD-ROM/DVD, software's and databases; more recently even single websites.
Being an overview of different media publications connected to a particular category of knowledge, a bibliography could be strictly descriptive and analytical of the listed materials divided in categories or could, instead, present critically the literature.
National Historical Bibliographies are following identical criteria’s of organization in their conception, but are focusing on the selection of the historiography  based on the history of single Nation-States. Mainly serials publications, less single book editions, they are listing titles and not offering a history of the historiography in the field: the titles listed are rarely critically presented.
Starting in 1926, the International bibliography of historical sciences (published alternatively in five different languages each year) was edited by the International Committee of the Historical Sciences. It listed all kind of historical bibliographies published as books or inside academic journals. The same International Committee published the World List of historical periodical and bibliographies edited by Pierre Caron and Marc Jaryc (Oxford, 1939). The repertorium is made of bibliographies in the field of history; again, not an interpretative history of the historiography with abstract of titles. When looking at these bibliographies of historical bibliographies, we understand that few national historical bibliographies were already published during the last quarter of the 19th century.
            National Historical Bibliographies are reference works for historians, but they represent also a kind of national “memory place although Pierre Nora did not chose French Historical Bibliographies like he, instead, selected Ernest Lavisse Histoire de France depuis les origines jusqu’à la Révolution written in 1901, as one of the “topoi” of the national identity. National bibliographies help to maintain and preserve, collecting history titles, the history of a Nation-State building process. In this case, even the chronological or geographical sub-categories adopted in each national bibliographies are telling their reader with bibliographical records listed under geographical and chronological categories –not only using topical ones-,  about the historiographical construction of a single nation’s history.
       Many European countries (also the USA) adopted these reference instruments between the end of the 19th century and the late twenties of the 20th century, mainly after WWI
Belgium became a National state in 1831. In this case, historical bibliographies are telling us about the new Nation’s past and they collect the historiography which is referring to the construction of a Belgian nation “existing” before the official date of its birth. In 1893, the famous Belgian historian Henri Pirenne edited a bibliography for the history of Belgium up to 1830. He used both geographical and topical categories in a bibliography starting from the year 1598 with the reign of Albert and Isabel. And, like Belgium during the Spanish domination, the bibliography included the historiography published for the Austrian, French and Dutch regimes. (Henri Pirenne: Bibliographie de l'Histoire de Belgique. Catalogue methodique et chronologique des sources et des ouvrages principaux relatifs a l'histoire de tous les Pays-Bas jusqu'en 1598 et a l'histoire de Belgique jusqu'en 1830. Bruxelles, Lamertin, 1893.)
The French historian and archivist Pierre Caron (1875-1952), which founded the Revue d'histoire moderne et contemporaine in 1899, edited many bibliographies and, together with Henri Stein, the first systematic French National Historical Bibliography. The Répertoire bibliographique de l'histoire de France, (Paris, A.Picard, 1923-1938) started in 1923. Other bibliographies on French History were integrated within the Auxiliary Sciences Section of such a current bibliography. During the ‘30, a Bibliographie critique des principaux travaux parus sur l'histoire de 1600 à 1914. Travaux de langue française ou relatifs à l'histoire de France, (Paris, Maison du livre français, 1935-1937) was also published in 3 volumes.
For Germany, between 1853 and 1887, Ernst Zuchold and others edited a general historical bibliography like it was the case in other countries during the 19th century. (Bibliotheca historico geographica oder systematisch geordnete Uebersicht der in Deutschland und dem Auslande auf dem Gebiete der gesammten Geschichte und Geographie neu erschienenen Bücher, Göttingen). The Bibliotheca historico geographica  was listing the scientific output of history in Germany and was not focusing on the history of Germany as a single Nation-State. From 1873, the Berlin Historical Society published the Mittheilungen aus der historischen Litteratur, but, specific historical writings on German History, were listed in the Dresden journal, Historische Viertelsjahrschrift, only from 1890.
In Switzerland, the Bibliographie der Schweizergeschichte started to be published in German in 1913, edited by the Schweizerische Landesbibliothek in Bern and the Allgemeine Geschichtsforschende Gesellschaft der Schweiz.
http://www.histbib.eu/bibliographies/index
In Italy, the Annuario bibliografico della storia d'Italia was published in Pisa between 1902 and 1909. But historians had to wait for the publication, in 1942, during the fascist regime, of the first volume of the Bibliografia Storica Nazionale, dedicated to the history publications for the year 1939. The BSN is still active today but includes also historical titles published in Italy not about Italy itself. Other European countries followed the same pattern of publication. Čeněk Zíbrt published the Bibliografie české historie in Prague, during the years 1900 to 1912, the same period Italians thought, for the first time, to reflect to the historiography dedicated to their young nation. 
Today, National Historical Bibliographies are offered as online databases with advanced searching capacities. The European project European Historical Bibliographies is implementing in Berlin, a digital portal for accessing all National European Bibliographies. This unified reference instrument is an essential companion to the historical profession. And this is true even today that the use of bibliographies is decreasing heavily. Such an important online tool is also underlining an historical shift to another historical and geographical construction: "Europeanness" where Europe was and still remains the sum of national states histories.

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Updated version of the article published in Ilaria Porciani and Lutz Raphael (eds.): Atlas of European historiography: the making of a profession 1800-2005., Basingstoke: Palgrave Macmillan/European Science Foundation, 2010, p.36.