Friday, 2 November 2012

Per una "Public History" italiana nei luoghi della Guerra Civile (1943-1945)

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Public History e Storia Pubblica

Gli storici di professione partecipano attivamente ai dibattiti pubblici nei media e la storia viene celebrata nelle pubbliche piazze. Allo stesso momento, una densa rete di istituzioni e di media si dedicano ai beni culturali, alla storia e al patrimonio storico-culturale, aiutando così a confrontarsi con il ruolo che la storia e la memoria recitano nella sfera pubblica. In questo modo, il campo disciplinare della Public History in Italia e in Europa è legato alle identità collettive a diversi livelli: dalle memorie locali alla costruzione di “Heimaten” o luoghi di memoria regionali, nazionali e pan-Europei. I luoghi storici, le piazze, i monumenti, i paesaggi, posseggono tutti un loro significato storico locale, regionale e nazionale che aspetta il lavoro dei “public historians”, gli storici pubblici, per incontrare l’interesse delle diverse comunità che li circondano e che cercano di interpretare il passato anche grazie a chi fosse in grado di decifrarlo. Gli Europei –ma questo è vero in tutti i continenti- cercano di conservare, proteggere ed interpretare le loro storie, le loro identità e tradizioni multi-dimensionali e le testimonianze diverse dall'archeologia alla storia orale, che ne rendono conto. Questa ricerca passa attraverso la pratica della Public History.
Gli storici in generale hanno il compito di fare crescere la conoscenza del passato, aggiungendo fatti e recando un maggior livello di approfondimento ai fatti già conosciuti. Per fare ciò, essi usano fonti primarie, possibilmente inedite, e basano le loro ricostruzioni del passato su un corpus di studi storiografici. Inoltre, essi trasmettono questa conoscenza con l’insegnamento e con pubblicazioni nei circoli accademici: si viene giudicato dai pari e si pubblica per i pari. L’attenzione per le necessità professionali della storia in pubblico non è all’ordine del giorno della formazione scientifica degli storici in Italia. E tuttavia, la storia è dappertutto come presenza del passato nei luoghi che potrebbero ricordarlo. Offerte pubbliche di storia esistono per decifrare il passato e le testimonianze che ci circondano. 
Questo “fare storia” attorno a noi non è sempre un’attività svolta da storiche e storici di professione che si incaricano di mediare con il passato come vedremo da alcuni esempi qui di seguito. La pratica professionale della Public History non è insegnata nelle università e gli storici accademici non hanno come primo obbiettivo quello di favorire una maggiore comprensione pubblica e una maggior presenza della storia come fattore interpretativo del presente attraverso una diffusa conoscenza del passato nella società.  Gli Stati Uniti sono la patria di un fiorente movimento di Public History[1] che riflette sui miglior modi di trasmettere una riflessione pubblica sul passato in molti ambiti diversi ed usando anche  parchi storici e monumenti storici ed archeologici, per incontrare la curiosità dei pubblici suscettibili di avvicinarsi alla storia nazionale. 
Molti dei programmi di Public History nelle università degli USA includono corsi interdisciplinari che attingono all’archeologia, all’antropologia, all’arte e alla storia dell’arte, alla geografia storica ed umana, all’umanistica digitale e alla storia digitale, al folklore, alla gestione amministrativa, agli studi politici, alla biblioteconomia e alle scienze dell’informazione. I corsi sono interdisciplinari perché le fonti della public history sono molto diversificate e riguardano anche l’archeologia, i paesaggi, le testimonianze orali, gli oggetti materiali, le costruzioni architettoniche, i siti archeologici, i materiali visivi, i dati elettronici, ecc.. Se la disciplina è una realtà più che trentennale negli USA, essa è anche presente come tale, negli insegnamenti delle università di altri paesi anglo-sassoni compresa la Gran Bretagna. In Europa continentale, fuori dalle università, i musei, gli archivi, le biblioteche privati e pubblici, le istituzioni culturali storiche sul territorio praticano tutti forme di Public History come, per esempio, gli Istituti della Resistenza e dell’Età contemporanea in Italia. Inoltre, la Public History utilizza sistematicamente i media per diffondere la storia, ma è soprattutto il Web che, promuove al meglio la storia pubblica digitale, cannibalizzando gli altri media.[2] (Ho avuto modo di scrivere di Public History altrove[3] e di descrivere con un post precedente in inglese, la recente storia e gli scopi della International Federation for Public History (IFPH) – Fédération Internationale pour l’Histoire Publique (FIHP).[4])
Per parlarne brevemente in Digital & Public History -anche in funzione di una giornata di studio sui linguaggi della storia nel web che avrà luogo il 10 novembre 2012 all'Istituto Parri di Bologna-, vorrei iniziare da una conversazione che si è svolta in villeggiatura quest’estate 2012 con un mio amico, lo storico dell’economia, Andrea Giuntini, che ha in comune con molti altri storici fiorentini, la passione per la bicicletta. E difatti, quando a giugno organizziamo una riunione di redazione della rivistaMemoria e Ricerca” presso la Casa di Oriani a Casola Valsenio in provincia di Ravenna, egli disdegna il passaggio in macchina perché indossa la maglia del Ciclistica Oriani e arriva sempre a Casole inerpicandosi sul Passo della Colla. Parlare di bicicletta mi permette di introdurre una riflessione sulle necessità di una diffusa presenza di "storia pubblica" nei luoghi della seconda guerra mondiale dove la storia si fa, da anni, prepotentemente pubblica. 


Pellegrinaggi nei luoghi del fascismo e della Guerra Civile italiana: la camera del Duce a Campo Imperatore e la cripta dei Mussolini a Predappio.


Targa commemorativa all’entrata della stanza di Mussolini a Campo Imperatore.(Provenienza: On the road to Kabul and other short stories of treks. Italy: Appenines, Gran Sasso, June 2005.)

 A luglio di quest’anno, la comitiva fiorentina alla quale ho appena accennato, aveva organizzato una gita in bicicletta sul Gran Sasso d’Italia. Vista la calura estiva, la comitiva si era fermata in un albergo di Campo Imperatore alla ricerca di refrigerio. Ora si sa che, sulle vette del Gran Sasso, proprio in quell’albergo costruito sotto il fascismo, l’Hotel Campo Imperatore,[5] Mussolini fu tenuto prigioniero dopo il 25 luglio 1943 e la caduta del fascismo.[6] Oggi, la camera che fu del “Duce del Fascismo” decaduto è diventata un “piccolo museo visitabile” dagli anni ‘90[7] come recita il sito web della Regione Abruzzo. Visitatori per caso come i nostri ciclisti fiorentini o consapevoli turisti dei luoghi del fascismo, trovano dunque sul Gran Sasso, un piccolo monumento di storia pubblica. La storia dell’ultima fase del fascismo, quella della Guerra Civile, incrociava in effetti, quasi settant’anni fa, un Hotel costruito tra il 1931 e il 1934 per favorire il turismo alle pendici del Monte Aquila. Il luogo della prigionia del Duce è una fonte materiale simbolica del fascismo.[8] 

“Bundesarchiv, Bild 101I-567-1503C-14 / Toni Schneiders / CC-BY-SA, 12 settembre 1943.” Fotografia di Toni Schneiders conservato negli Archivi Federali tedeschi e disponibile tramite Creative Commons, 3.0, in it.Wikipedia

Mi disse Giuntini che era rimasto sgomento dal suo utilizzo commerciale senza un' adeguata contestualizzazione storica. Per due Euro chiesti dal gestore dell’albergo, si visita la camera, luogo di custodia del capo del fascismo. Certo l’operazione Quercia con le gesta del maggiore dei paracadutisti tedeschi Harald-Otto Mors e del capitano delle SS Otto Skorzeny, permise di liberare un Mussolini già sconfitto, creando così le condizioni per il divampare della guerra civile nel Nord Italia per un anno e mezzo. Spiegare pubblicamente anche questi importanti risvolti offrirebbe contesti critici adeguati a quel luogo del tragico passato italiano dove non basta magnificare le gesta dei tedeschi ed aprire la camera dove Mussolini fu rinchiuso nell’estate ’43.
Tutt’oggi, la Guerra Civile italiana rimane fonte di controversie pubbliche e di visioni revisionistiche della storia anche con il sostegno di parti politiche che si richiamano all’eredità di Salò e hanno sostenuto alcuni governi Berlusconi. Difatti, le memorie di chi continuava a spalleggiare il nazi-fascismo in contrasto con chi lottava con gli Alleati per liberare l’Europa e per costruire un Italia anti-razzista e democratica nel dopoguerra, continuano a confrontarsi oggi. La camerina del Duce a Campo Imperatore diventa così un luogo di memoria del post-fascismo e non un'occasione di riflessioni sulla società fascista e il passato dittatoriale. Così si venera l’uomo e un'idea del regime senza il distacco critico o le spiegazioni che questi luoghi meriterebbero.
La cripta della famiglia Mussolini a Predappio in provincia di Forlì, dove i resti del Duce furono riportati nel 1957,[9] ha suscitato per anni una contrapposizione violenta tra gruppi politici di estrema destra -che sfruttano i luoghi mussoliniani per parate neo-fasciste- e gruppi politici di estrema sinistra. La tomba è diventa un simbolo politico per sfilate di nostalgici in camicie nere e militanti neo-fascisti, per un uso politico del passato che infrange la legislazione penale italiana e nello specifico, il divieto di apologia del fascismo e del suo capo. Viene anche imbrattata da scritte anti-fasciste.[10]


Fotografia della Cripta di Mussolini a Predappio, sito web del comune di Predappio.
 
Tuttavia la cripta Mussolini, come la camera di Campo Imperatore, è oggetto anche di forme di turismo della storia.[11] Essi diventano luoghi molto appetibili commercialmente, che permettono soprattutto di vendere Souvenirs del Duce e del fascismo nei negozi di Predappio, un vero “business” del passato senza la storia o, piuttosto, con la storia come opinione e fede per la politica odierna. In assenza di un grande museo storico sull’epoca fascista in Italia, i luoghi mussoliniani contribuiscono a costruire un alone agiografico attorno al Duce laddove sarebbero invece necessari la riflessione e il lavoro per il pubblico da parte di storici professionali con uno sguardo alla società e alla cultura italiana in epoca fascista, quel che tenta di fare –in scala locale e da pochi anni-, il piccolo museo privato costruito all’interno della casa dei Mussolini a Predappio. Queste attività indicano la strada per una “public history” che si potrebbe realizzare anche su larga scala a partire da quei luoghi simbolici per favorire la conoscenza critica e professionale della storia del fascismo.[12] Basterebbe leggere infatti i commenti e le discussioni dei social network per capire quanto bisogno ci sia di conoscenza della storia e non di opinioni o di ideologie, soprattutto per migliorare quello che anche la scuola compie con difficoltà: aumentare il tasso di conoscenza pubblica sulla storia contemporanea italiana non proprio fiorente oggi.[13]
La storia pubblica del ventennio fascista si può fare anche in quei luoghi simbolici e non solo nei parchi storici e negli spazi che videro gli eccidi dell’ultimo anno di guerra civile come a Monte Sole in Emilia.[14] Sarebbe un modo per rispondere all’interesse del pubblico dei visitatori che non sono tutti pellegrini di una causa condannata dalla storia, ma anche curiosi di sapere della storia italiana di tutto il Ventennio fascista oltre che del destino individuale di chi inventò lo stato totalitario, la propaganda di massa e il regime del partito unico.

Il sacrario di Rodolfo Graziani ad Affile in provincia di Roma
 
Sacrario Graziani ad Affile. Immagine tratta da Contropiano.org

 Sempre legato alla storia della Guerra Civile italiana, ad Affile in provincia di Roma, l’11 agosto 2012 è stato inaugurato un monumento pubblico in memoria di Rodolfo Graziani, maresciallo dell’esercito fascista ministro della difesa della Repubblica di Salò, giudicato nel dopoguerra come criminale di guerra per le sue azioni come Viceré d’Etiopia nel 1936-1937.[15]Non devo perdonare nulla al soldato con la “s” maiuscola, Graziani -dice il sindaco di Affile, Ercole Viri-. Oggi abbiamo dimostrato che il nostro concittadino non ha commesso errori. Onoriamo il generale in quanto Affilano e degno di rivalutazione rispetto alla storia scritta da chi era mosso da altri intenti”.[16] 
Immagine tratta dall'articolo di Marco Santopadre: "Affile: scrivono 'no al fascismo' sul sacrario a Graziani, denunciati tre giovani", Venerdì 14 Settembre 2012, in Contropiano.org
Commentando l'accaduto nel blog di Letizia Cortini Visionandolastoria, "Rossella", cittadina di Affile, scrive: "Io sono di Affile, un paesino di 1400 anime che è sotto le luci della ribalta per il Mausoleo che il sindaco ha fatto costruire alla memoria del “macellaio” Rodolfo Graziani. Ne avete sentito parlare?? Un mausoleo costato 180.000 euro!!! Pensare che sono due anni che insisto per far aprire una biblioteca, anche gestita da volontari. Niente da fare, non ci sono soldi: questa è la risposta. La cosa più triste è sentire ragazzi di 30 anni, se non più giovani, che si proclamano orgogliosi di essere fascisti. Che dire?"
 
Domina così la storia come opinione politica e perde terreno la storia accademica e scientifica che rivisita il passato con l’approccio critico attraverso i suoi documenti e le sue testimonianze e che, da tempo, ha giudicato l’operato di Graziani, uno dei più efferati criminali di guerra che il fascismo abbia prodotto durante la sua alleanza con Hitler. Anche il New York Times ha denunciato l’accaduto sottolineando l’ignoranza che circonda il passato fascista da parte degli italiani e soprattutto del loro passato coloniale.[17]
 Cosicché uomini dello stato e della politica odierna affermano con tranquillità che gli studi scientifici sono mossi da intenti di parte e che nelle università si pratica una storia di parte che non dà risposte a chi, ancora oggi, riallaccia il suo presente al passato di Salò.[18] Una tale confusione pubblica sul passato non accade soltanto come vulnus alla legalità repubblicana. Esso accade anche, a parere mio, per un deficit culturale e professionale, perché non vi sono storici pubblici in Italia che abbiano come mestiere quello di trasmettere a pubblici diversi, i risultati ottenuti dagli storici universitari. Mancano i public historian che dovrebbero avvicinare le diverse comunità nazionali usando delle loro conoscenze professionali di storici alle quali aggiungere una conoscenza altrettanto professionale dei linguaggi mediatici nell’epoca della rete.
In un paese che non possiede un curriculum didattico che potrebbe formare gli studenti alla “public history” di stampo anglo-sassone, per informare questi pubblici a proposito della loro storia, suppliscono le istituzioni locali e territoriali della storia, spesso con la collaborazione degli storici accademici. Questi operano come Public Historian usando talvolta del linguaggio della rete e organizzando mostre e festival di storia –una caratteristica specifica della storia pubblica italiana-[19] per comunicare la storia alle comunità locali. Tuttavia, come in occasione dei festeggiamenti per il 150° anniversario del Risorgimento nel 2011, ad eccezione di pregevoli progetti di storia pubblica digitale e di alcune mostre,[20] gli storici hanno spesso preferito i convegni di tipo accademico piuttosto che confezionare prodotti culturali più adatti ad avvicinare un vasto pubblico di curiosi nei luoghi carismatici del passato nazionale: mettere in scena la presa di Porta Pia in loco, avrebbe avuto un impatto pubblico, scenico e mediatico importante. Perché non scommettere anche, per il periodo del ventennio e della guerra civile, di poter trasmettere una riflessione più complessa sul passato proprio nei luoghi del fascismo mussoliniano e, per farlo, perché non formare storici pubblici e impiegarli all’uopo anche con l’ausilio di finanziamenti privati?
Negli Stati Uniti, per esempio, la Guerra Civile attira da sempre il grande pubblico dei curiosi e appassionati che si recano nei parchi storici come quelli di Gettysburg,[21] o nei musei storici come quello della Confederazione a Richmond in Virginia.[22] Il 150° anniversario, nel 2011, della guerra civile è un occasione per ingaggiare il grande pubblico su tematiche non soltanto militari, come la schiavitù e le vere cause della secessione e della guerra.[23]
La casa Museo della famiglia Mussolini a Predappio, per esempio, potrebbe certamente diventare un’occasione pubblica per informare sulla storia del fascismo anche chi mai aprirebbe un libro di storia accademica o assisterebbe a un convegno scientifico e avrà letto al più, i libri di Indro Montanelli o di Arrigo Petacco, scritti in un linguaggio adatto al grande pubblico. Perché allora non tentare di soddisfare con messaggi culturali più complessi i curiosi di un passato fascista, parte importante della storia nazionale italiana del ventesimo secolo? E questo anche quando i turisti del passato sono invece quei nostalgici del fascismo, giunti in quei luoghi con l’inaccettabile proposito di commemorare e celebrare il passato regime, che forse così diventerebbero soltanto parte di una minoranza bizzarra in gita folcloristica sui luoghi storici del totalitarismo e della guerra civile ?

Come ricordare l’eccidio della divisione Acqui del settembre 1943?

Pochi giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre e la liberazione di Mussolini da Campo Imperatore, tra il 15 settembre e il 26 settembre del 1943, nell’isola greca di Cefalonia e nelle isole ioniche allora occupate dai soldati italiani, la divisione Acqui resistette con le armi invece di arrendersi ai tedeschi. Due monumenti e un piccolo museo ricordano i caduti tra Cefalonia, Corfù, altre isole e alcune navi nelle quali molti soldati erano stati tratti prigionieri.[24] Numerose testimonianze e studi scientifici -anche contraddittori- che esistono sull’eccidio, sul numero dei morti italiani e sulle cause dei decessi, non hanno scalfito l’enorme importanza simbolica, in termini resistenziali, della lotta dei soldati italiani e della loro tragica fine a mano dei soldati della Wehrmacht.[25] L’eccidio della divisione Acqui è stato ricordato sul luogo dell’accaduto, nel marzo 2001, dall’allora Presidente Ciampi, in un discorso ufficiale di commemorazione per “passare” la memoria alle nuove generazioni: “ai giovani di oggi, educati nello spirito di libertà e di concordia fra le nazioni europee, eventi come quelli che commemoriamo sembrano appartenere a un passato remoto, difficilmente comprensibile. Possa rimanere vivo, nel loro animo, il ricordo dei loro padri che diedero la vita perché rinascesse l'Italia, perché nascesse un'Europa di libertà e di pace. Ai giovani italiani, ai giovani greci e di tutte le nazioni sorelle dell'Unione Europea, dico: non dimenticate”.[26] Nel 2005, durante una vacanza nell’isola, stavo passeggiando sul luogo dell’eccidio dei militari italiani con la mia famiglia alla ricerca di quei monumenti e delle testimonianze del passato. Mi resi conto del degrado e dell’inutilità anche didattica della presenza di una piramide in mezzo all’acqua, nel golfo di Argostoli, senza che ci si potesse neanche avvicinare per leggere dell’accaduto. Rientrato in Italia, scrissi al Presidente Ciampi per denunciare il degrado del monumento. Passati alcuni mesi ricevette una lettera da parte del Generale dei Carabinieri Bruno Scandone appartenente al Commissariato Generale Onoranze ai Caduti di Guerra che annunciava il ripristino del suo decoro. Due anni dopo, nel 2007, il Presidente Napolitano festeggiò la liberazione del 25 aprile per la prima volta fuori dalle frontiere dello stato con un discorso tenuto proprio in quel luogo diventato simbolo della resistenza al nazi-fascismo.

“…Ricondurre il complesso monumentale in oggetto ad un adeguato livello di decoro”. Lettera inviatami dal Commissariato Generale Onoranze ai Caduti di Guerra, Generale del Corpo dei Carabinieri, Bruno Scandone, 31 Ottobre 2005.

Tuttavia, e benché nell’estate 2005 non avessi ancora studiato la Public History, pensai allora che Cefalonia fosse un'occasione persa dagli storici italiani e greci di farsi pubblici e di offrire contesti ed approfondimenti ai visitatori nei luoghi simbolo della seconda guerra mondiale. Mancava sul luogo la capacità professionale di dare un senso storico, alle parole di Ciampi del 2001. Chi raggiunge Argostoli seguendo le indicazioni stradali per scoprire il monumento alla divisione Acqui, non porta con sé i risultati della storiografia accademica e, molto spesso, non ha nemmeno la possibilità di conoscerla. Esistono si, le commemorazioni ufficiali ed i monumenti, ma non si è provveduto, da parte degli storici professionali, ad inquadrarli con spiegazioni all’altezza dell’evento. Il museo originato dall’iniziativa privata del parroco cattolico di Cefalonia consta di una sola stanza e offre immagini di mostre fotografiche allestite dopo il 2000.[27] Gli altri luoghi ed i materiali che servirono a girare il film hollywoodiano del 2001, tratto da un romanzo omonimo di Louis de Bernières, Il Mandolino del capitano Corelli[28] e la trasmissione della RAI La storia siamo noi[29] non sono integrati in un percorso storico-didattico con guide qualificate e storici locali capaci di trasferire la conoscenza del passato -in quel caso della guerra italiana in terra di Grecia-, ai curiosi e ai villeggianti di passaggio come invece avviene nella rete.

Immagine della piramide nel golfo di Argostoli scattata personalmente nell’agosto 2005 prima dei restauri voluti dal Governo italiano. 



“Toccare la storia con le mani”: per una presenza di Storia Pubblica ad Affile, Campo Imperatore, Predappio o Argostoli.

Questi luoghi della Guerra Civile italiana, hanno accolto fino ad oggi oltre ai reduci del fascismo, anche visitatori che, come me, appartengono alle generazioni posteriori a chi combatté nel ’44-’45. Essi hanno permesso di coltivare acriticamente le memorie divise ed opposte di quel tragico periodo di guerra civile. Durante l’era berlusconiana, essi hanno inoltre permesso la diffusione di un revisionismo anche a sfondo politico a favore di una legittimazione delle ragioni dei combattenti di Salò, e con l’ausilio -libertario e senza filtro- del web, un media avulso dalla reale partecipazione degli storici accademici.[30] Una presenza professionale di public historians potrebbe contrastare la diffusione di memorie acritiche, delle fedi ideologizzate, della visione accecata di un passato inesistente anche laddove prosperano cortei di nostalgici che glorificano in modo inaccettabile per uno stato democratico le gesta criminali di un Graziani e permettono a quelle ideologie a-storiche di imperversare senza reti. La battaglia contro le memorie di parte, vendute come la “vera” storia che verrebbe nascosta dai libri delle scuole di oggi, avviene anche negli Stati Uniti alle prese con la diffusione, nel Sud del paese, di tesi “neo-confederate” e della “Lost Cause”, la causa persa del Sud.
Comunicare un'altra visione del passato con i mezzi adatti alle diverse situazioni e ai luoghi che ho citato, e con la professionalità di chi è abituato a lavorare sul terreno e in contatto con il pubblico –il mestiere del public historian-, permetterebbe anche di giovarsi dei risultati della ricerca accademica e della storiografia scientifica in altre sedi, con altri linguaggi indirizzati ad altri pubblici. Non vi sarebbero luoghi tabù del passato se esistesse la capacità professionale di usare anche dei luoghi simbolici del fascismo che spesso, più di tanti libri, parlano direttamente alla gente, per offrire una visione più complessa della storia italiana tutta, senza nessun escamotage né cancellazione di personaggi, momenti e luoghi spesso scomodi come quelli delle ultime pagine della storia del nazi-fascismo in Italia.
La storia pubblica passa dunque anche da Affile, da Campo Imperatore e da Predappio oltre che da Argostoli, laddove si deve poter “toccare con le mani” questo passato nazionale talvolta scomodo. Per farlo, un vasto pubblico di curiosi non abbisogna affatto dei nostalgici che dedicano il loro tempo a vegliare la cripta di Mussolini, né delle manifestazioni di camice nere e di preti compiacenti in occasione delle celebrazioni della nascita del Duce, e meno ancora delle commemorazioni offerte dai rappresentati locali dello stato come i sindaci di Predappio e di Affile.
La trasmissione della storia al grande pubblico non deve essere lasciato ai mecenati nostalgici come l’imprenditore lodigiano Domenico Morosini, titolare di Villa Carpena in provincia di Forlì, da lui trasformata in "Villa Mussolini, Casa dei ricordi" oggi sede di un “Centro Studi Romano Mussolini”;[31] senza parlare di imprese commerciali come quella di Pierluigi Pompignoli, titolare del "Predappio Tricolore Souvenir" che vende un oggettistica fascista e imperiale oltre ai capi di abbigliamento molto richiesti in Italia e nel mondo intero, usando un sito web di e-commerce che sfrutta il nome del Duce (http://www.mussolini.net/) o,

 Illustrazioni nell’articolo di Lucia Landone: “Bottiglie col duce e Hitler sugli scaffali a Varese, Carrefour non le venderà più”, in La Repubblica, Edizione di Milano, 16 settembre 2009

 infine, di chi stampa etichette per bottiglie di vino con l‘effigie del Mussolini oltre che di Che Guevara o di Stalin, perché “tanto si vendono”.


Illustrazione disponibile nello stesso articolo.


Le iniziative private ed individuali appena menzionate, poco hanno a che fare con la professione di storico e purtroppo, per avvicinarsi alla conoscenza del passato, esse diventano de facto vere mediazioni popolari tra visitatori e passato fascista. Questo enorme pubblico di curiosi potrebbe piuttosto trovare un beneficio nel consapevole, complesso e persuasivo lavoro in loco di professionisti della storia pubblica capaci di affiancare con altre iniziative culturali, queste iniziative individuali, politiche o commerciali e, perché no, di crearne senza disdegnare di sopperire alla mancanza di fondi pubblici con lo sfruttamento commerciale di alcuni aspetti della ricostruzione del passato.


Home Page di www.mussolini.net, 30 settembre 2012.

Prendendo atto che i luoghi simboli di questo tipo esistono e continuano a richiamare molte migliaia di visitatori e di compratori, si potrebbero contrapporre anche progetti culturali di storia pubblica. Forse la possibilità di introdurre una riflessione storica sulla guerra non sarebbe dovuto andare persa, ma essere invece sfruttata per approfondire quello che oggi si presenta soltanto come un pellegrinaggio sul Gran Sasso d’Italia, finalizzato ad adulare e santificare acriticamente due figure del nazi-fascismo, il suo capo supremo, Benito Mussolini e l’ufficiale tedesco che beffò gli alleati portandolo a conferire con Hitler. Gli storici accademici italiani preferiscono scrivere della guerra civile nei saggi dotti delle riviste scientifiche e disdegnano il campo, il lavoro civile di costruzione di una riflessione sul passato che potrebbe toccare diversi pubblici che non posseggono una conoscenza alta del passato e che, non sapendo del fascismo e della guerra, intendono recarsi sul Gran Sasso, a Predappio o a Cefalonia. Sfruttare meglio quelle occasioni per proporre una più complessa riflessione critica sul passato è opera professionale specifica dei public historians. Essi vengono formati per proporre un confronto sul passato anche al di fuori dei luoghi canonici adibiti al passaggio della conoscenza come la scuola o l’università.
Quale sarebbe allora il compito dello storico pubblico Italian style? Magari arricchendo un luogo triste e di fine regime come la camera del Duce a Campo Imperatore con iniziative storiche che permettessero di parlare dell’armistizio dell’8 settembre, della Guerra Civile che lì cominciò o aggiungendo ai monumenti commemorativi di Argostoli una mostra storica capace di sottolineare anche le incoerenze, incertezze e problematiche irrisolte della storia?
Finora, Campo Imperatore è stato usato soprattutto per magnificare l’atto di individuale bravura di alcuni ufficiali tedeschi senza nessun tipo di relazione con l’allora contesto bellico, le sue cause, il suo rapido divenire guerra civile, con le responsabilità del Duce nell’aver prolungato la guerra italiana. Il compito specifico degli storici pubblici, viene a mancare sul Gran Sasso come altrove. La loro mancanza cumulata all’assenza degli storici di professione -non ovviamente nello studio scientifico di quei tragici eventi-, nei luoghi stessi della guerra italiana tra Alleati e esercito nazista aiutato dai miliziani di Salò, non permette di mobilitare anche queste fonti materiali del passato, quei luoghi che “parlano” alla gente comune e ricordano il passato bellico per rispondere ai bisogni di storia ed informare correttamente sul passato.  
L’esistenza sul terreno di vivaci pratiche di Public History, contrasta dunque con l’assenza ufficiale della disciplina. Oggi se alcuni programmi universitari di Public History o di Applied History sono disponibili nelle università dell’Europa continentale e delle isole britanniche, gli “applied historians” o “public historians” non praticano la loro disciplina in modo cosciente o inseguendo le pratiche professionali scientifiche  di una disciplina accademica ufficiale chiamata “Public History” e riconosciuta come tale dal Comité International des Sciences Historiques
Finora ho avuto modo di mostrare quanto mancasse la figura del Public Historian sulla scena culturale italiana nei contesti pubblici e privati. (La storia pubblica passa anche dagli investimenti dei privati che possono pensare ad un loro tornaconto favorendo il lavoro degli storici pubblici o impiegandoli direttamente). L’interesse accademico per quella dimensione pubblica della storia –intesa come pubblici a cui rivolgersi, linguaggi mediatici da utilizzare e comprensione degli interessi privati potenziali che esistono attorno ai beni culturali e alla storia in generale- è spesso soltanto casuale. 
In questo senso, la creazione recente di un’associazione internazionale di Public History come la IFPH (International Federation for Public History), alla quale gli archeologi pubblici sicuramente dovrebbero aderire, potrebbe favorire i contatti tra gli addetti ai lavori e creare nuove reti attorno alla disciplina per promuoverla nei diversi continenti. La IFPH serve anche a favorire l’auto-coscienza del lavoro specifico dei public historians, in una cornice disciplinare internazionale. Per fare ciò, la conferenza annuale della NCPH statunitense che si terrà nell’aprile 2013 ad Ottawa in Ontario -per la terza volta nella sua storia fuori dalle frontiere federali in Canada-, permetterà alla Federazione di presentare delle sessioni e tavole rotonde con un respiro internazionale e di organizzare la prima assemblea dei suoi soci.  
Inoltre, una conferenza scientifica promossa dalla IFPH avrà luogo ad Amsterdam, nell’autunno 2014 dopo l’accordo intervenuto a giugno 2012 con il programma di Public History dell’Università di Amsterdam e con l’Istituto per gli studi sulla guerra, il genocidio e l’olocausto, il NIOD e altri partners olandesi ed Europei. Il tema generale sarà quello della Storia Pubblica Digitale

Si spera che ad Amsterdam, molti Public Historians europei avranno l'occasione di partecipare.




[1]L’intero specchio della Public History statunitense è presentato nell’eccellente introduzione al campo disciplinare  curata da James B. Gradner e Peter S. La Paglia: Public History. Essays from the field., Malabar FL: Krieger Publishing Company, 2006.
[2]Constance B. Schultz, decana della storia pubblica negli USA, fornisce questa definizione del Public Historian che ho tradotto così: “Gli obiettivi di base per un'educazione alla storia pubblica sono quelli di preparare e di addestrare gli storici alla ricerca storica tradizionale, all’interpretazione delle fonti e alla scrittura e di applicare tali competenze ad una vasta gamma di ambienti pubblici, al fine di favorire la comprensione del passato a partire da questioni, problemi e interessi del momento, oltre che di preservare le fonti che rendono questa comprensione possibile.” (“Becoming a Public Historian”, in Ibid., p.32.).
[3]Public History” e “storia pubblica” nella rete”, in Francesco Mineccia e Luigi Tomassini (a cura di): Media e storia, numero monografico di Ricerche storiche, year 39, n.2-3, Maggio-Dicembre 2009, pp.275-327 e  La “Public History”: una disciplina fantasma? in a cura di Serge Noiret: Public History. Pratiche nazionali e identità globale, Memoria e Ricerca, n.37, Maggio-Agosto 2011, pp.10-35 che include una Premessa: per una Federazione Internazionale di Public History, pp.5-7.
[5]Storia dell'Albergo.
[6]“L’Albergo Campo Imperatore, sito a quota 2.200 metri, [è] storicamente noto perché in data 26 luglio 1943 vi fu trasferito il Duce Benito Mussolini […]. Ancora oggi sono a disposizione dei visitatori gli alloggi, prigionia del Duce.”, Notizie storiche, in http://www.laquilahotel.it/campo-imperatore/.
[7]Si Ricostruirà la Stanza - Prigione Di Mussolini, in La Repubblica, 25 giugno 1993.
[8]“Il 3 settembre del 1943, nella camera 201 (oggi la 220) dell'unico albergo esistente allora a Campo Imperatore, venne imprigionato Benito Mussolini […].”, Campo Imperatore. Maggiori informazioni sull’Hotel e la sua storia sono disponibili.
[10]“Predappio: scritte infamanti sulla tomba di Mussolini”, tratto da Il Resto del Carlino, 27 novembre 2011 e pubblicato il 28 novembre 2011 nel sito web di Storia in Rete.
[11]Per capire le motivazioni del “turismo mussoliniano” oggi si veda il servizio di Francesco Cuozzo, “Mussolini tira ancora” per RaiNews24.it, e il video disponibile in Youtube che offre numerosi commenti scritti che mostrano l’enorme ignoranza pubblica che circonda la storia del fascismo.
[12]Mostre interessanti sono state promosse dal comune di Predappio all’interno della casa natale di Mussolini, come Il fumetto di propaganda in Italia dalle origini al 1945 (2008), Predappio in Luce. La Città tra Immagine e Rappresentazione 1920-1940 (2009), Città di fondazione italiane 1928 – 1942 (2011), Predappio. Città del Novecento (2012), Marisa Mori, donna ed artista del ‘900, il talento e il coraggio (2012) e infine la mostra monografica dello scultore futurista fiorentino autore nel 1933 della testa del Dux a Profilo continuo, “Renato Bertelli, la parentesi futurista” (2012). (Si veda il sito web della casa natale di Mussolini, http://www.casamussolini.it/.
[13] Mi è stato spiegato di recente che, ad una domanda posta agli studenti del secondo anno di Giurisprudenza all’Università di Bologna su chi avesse vinto/perso la seconda guerra mondiale -domanda posta sistematicamente a tutti gli studenti durante l’esame di diritto pubblico comparato-, le risposte, da anni, sono quasi sempre le stesse: non si sa del Giappone mentre si risponde sistematicamente che la Russia ha perso la guerra. Per quanto riguarda l’Italia, gli stessi studenti non sanno se l’abbia persa o vinta dimostrando così un analfabetismo preoccupante riguardo alla storia del ventesimo secolo.
[14]Si veda la guida storico-escursionistica -vero lavoro di “public history”- realizzata per promuovere i luoghi e la storia della linea Gotica (1944-1945) tra la Toscana, l’Emilia e la Romagna: Vito Paticchia e Marco Boglione Sulle tracce della Linea Gotica. Il fronte invernale dal Tirreno all'Adriatico in 18 tappe., Saluzzo (CN): Fusta Editore, 2011.
[15]Parco diRadimonte e Sacrario del Generale Rodolfo Graziani e voce biografica consacrata a Rodolfo Graziani e non firmata, sempre sul sito ufficiale del comune di Affile.
[16] Nello Trocchia: “Celebrano I fascisti a spese nostre. Ad Affile, la regione Lazio finanzia il ricordo del Maresciallo Graziani a spese nostre”, Il Fatto Quotidiano, Domenica 12 agosto 2012, p.4 e “Graziano e l’eccidio dei monaci etiopici”, Il Fatto Quotidiano, Domenica 14 agosto 2012, p.17. Un video dell’inaugurazione del monumento che possiede due scritte “patria” e “onore” è disponibile in rete. Il senatore del Partito Democratico, Vincenzo Vita, ha scritto un “Interrogazione A Risposta Urgente In Aula al Ministro dell'interno”: “Premesso che:il 12 agosto 2012 ad Affile, in provincia di Roma, il sindaco Ercole Viri ha inaugurato il sacrario dedicato alla memoria del Maresciallo Rodolfo Graziani; Rodolfo Graziani, protagonista delle violazioni dei diritti umani durante la guerra di conquista fascista in Etiopia, fu un generale mussoliniano e poi ministro della Difesa nella Repubblica sociale italiana; alla fine della seconda guerra mondiale, Rodolfo Graziani fu condannato a diciannove anni, di cui diciassette condonati, prima della morte avvenuta nel 1955; i costi del sacrario con annesso parco ammontano a 125 mila euro, finanziati con apposito fondo regionale; si chiede di sapere: quali urgenti iniziative il Ministro in indirizzo intenda adottare per porre rimedio ad un simile evento che integra, di fatto, una vera e propria apologia del fascismo. VITA.”, in Senato della Repubblica, Legislatura 16ª, Aula, Resocontostenografico della seduta n. 789 del 06/09/2012, Allegato B, 3-03033.
[17] A“Even today, few Italians are particularly aware of the colonial episodes, which have not been central to national debate.”, Gaia Pianigiani: “Village’s Tribute Reignites a Debate AboutItaly’s Fascist Past”, in The New York Times, 28 agosto 2912.) Il centro Primo Levi di New York ha scritto “Rehabilitating Fascist War Criminals”, http://www.primolevicenter.org/Essays%26Interviews/Entries/2012/9/1_Who_Remembers_Italian_Fascist_Criminals.html?utm_source=Making+Revisions+&utm_campaign=News&utm_medium=email.
[18]Gennaro Carotenuto, storico di mestiere o “giornalista partecipativo”, ovvero public historian con una presenza pubblica nei blog della rete, ha denunciato l’accaduto nella lista di discussione dell’associazione di categoria degli storici del contemporaneo, la SISSCO. (Email di Gennaro Carotenuto , alla lista s, Venerdi 10 Agosto 2012 con soggetto “Graziani”.)
[19]Elisabetta Vezzosi: “I festival di storia e il loro pubblico”, in Contemporanea, a.XII, n.4, 2009, pp-717-742 e Francesco Catastini: “I festival di storia: una via italiana alla Public History?”, in Memoria e Ricerca, n.37, Maggio-Agosto 2011, pp.143-154.
[23]Edward Rothstein: “The South Reinterprets Its ‘Lost Cause’”, 5 dicembre 2011, The New York Times.
[24]Testimonianza sui luoghi della Acqui da parte di Marisa Gardoni: “Ritorno a Cefalonia”, in L'impegno, (Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli), a. XXVIII, n. 2, dicembre 2008.
[25]“Chi cerca le tracce del massacro di 6.500 soldati italiani trova facilmente il bel monumento ai caduti della divisione Acqui nei pressi di Argostoli, ma poi è respinto dalla fitta vegetazione, dalle nuove strade asfaltate, dalle costruzioni moderne che hanno sostituito i vecchi abitati di impronta veneziana distrutti dal terribile terremoto del 1953.” (Introduzione al libro a cura di Giorgio Rochat e Marcello Venturi: La Divisione Acqui a Cefalonia: settembre 1943, Milano, Mursia, 1993. Disponibile sul sito dell’ISRAL.
[27]“Promotore e animatore dell'iniziativa, il parroco cattolico di Cefalonia, padre Severino Trentin, ebbe modo … di esporre a mia sorella e a suo marito gli obiettivi del suo lavoro e dell'Associazione Mediterraneo nella sistemazione del materiale esistente. Il fine era una più ampia e diffusa conoscenza di ciò che era avvenuto sull'isola durante la seconda guerra mondiale. … Anch'io, … ho visitato Cefalonia nel luglio di quest'anno e già alla prima sera di permanenza sull'isola ero al museo, collocato in un piccolo locale vicino alla chiesa cattolica di Argostoli, nella centralissima e commerciale via Lithostroto.”, Marisa Gardoni: “Ritorno a Cefalonia”, cit..
[30]Antonino Criscione, Serge Noiret, Carlo Spagnolo e Stefano Vitali: La Storia a(l) tempo di Internet: indagine sui siti italiani di storia contemporanea, (2001-2003)., Bologna, Pátron editore, 2004.
[31]La Casa deiRicordi, (Via Crocetta, 24 Carpena, Forlì).

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