Friday, 26 October 2012

A Bologna durante la Festa Internazionale della Storia, si è parlato con la rivista Diacronie di storia digitale nell'era dell'accesso pubblico

Creative Commons License
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.

Da sinistra a destra, Deborah Paci, Tommaso Detti, Ilaria Porciani, Elisa Grandi e Serge Noiret 
(Fotografia Redazione Diacronie circolata in Twitter)
Lunedì 22 ottobre 2012, sono stato invitato a presentare con Tommaso Detti, il numero 10 della bella rivista online Diacronie, prodotta grazie al lavoro accurato di un gruppo di giovani ricercatori italiani ed europei che intendono diventare protagonisti delle discussioni storiografiche odierne in italia e in Europa. Per entrare nell'arena storiografica essi propongono una nuova rivista on-line in accesso libero, auto-prodotta e voluta con tenacia e grande entusiasmo e inoltre appoggiata su notevoli capacità tecniche e grafiche. Insomma una nuova rivista arrivata al suo decimo numero e prodotta con cura. 
IX Edizione della Festa Internazionale della Storia
La riunione beneficiava dell'ospitalità del Collegio Superiore dell’ Università di Bologna in collaborazione con il Centro Interuniversitario di Storia Culturale dell'Università di Padova e si svolgeva nell’ambito di un evento di Storia Pubblica o di Public History, la IX Edizione della Festa Internazionale della Storia a Bologna dal 20 al 28 ottobre 2012. Proprio la Festa della Storia, ospitava l’incontro dal titolo «Diacronie» La storia nell’era dell’accesso. Impiego delle tecnologie digitali nelle discipline storiche, dal nome dell'ultimo fascicolo della rivista stessa.
http://www.studistorici.com
La discussione partiva dalla seguente proposta scientifica: Negli ultimi anni si sono moltiplicate le riflessioni sui mutamenti prodotti dall’avvento del digitale nel mestiere di storico; accanto a queste, sono cresciuti numericamente i contributi relativi alle “Digital humanities”, cioè all’”umanesimo digitale”. Nello specifico, il termine “Digital History” è correntemente utilizzato per definire l’impiego di strumenti informatici applicati alla ricerca storica, dall’analisi delle fonti alla diffusione dei risultati; con questa etichetta sono stati creati insegnamenti universitari, sorti principalmente negli Stati Uniti. L’espressione “Digital History” non è nuova, ma le sue applicazioni e i suoi effetti nel mestiere di storico sono ancora da valutare. Come hanno ricordato recentemente Nicolas Delalande e Julien Vincent,«i discorsi sviluppati su internet e le relative conseguenze sull’elaborazione del sapere storico oscillano, generalmente, tra l’entusiasmo, l’inquietudine e il disinteresse»; quest’ultima posizione viene considerata dai due storici come «la più frequente» e probabilmente non «la meno spiacevole». Diacronie egli ospiti invitati all’incontro vogliono contribuire ad una presa di coscienza delle trasformazioni prodotte dal digitale sul quotidiano lavoro di storici.  
Presentavano Elisa Grandi (Université Paris VII-Denis Diderot; Università di Bologna) e Deborah Paci (Università di Padova; Université de Nice Sophia-Antipolis). Coordinava la serata Ilaria Porciani (Università di Bologna) e ne discutevo insieme a Tommaso Detti (Università di Siena), uno dei pionieri in Italia nella riflessione dedicata ad internet e all'uso del computer nel mestiere dello storico. Deborah Paci e Elisa Grandi erano le due curatrici che, in assenza di Emilien Ruiz trattenuto a Parigi, introducevano la rivista, le sue rubriche, i suoi scopi scientifici e, infine, il fascicolo consacrato all'accesso alla conoscenza e ai nuovi metodi dello storico nell'era digitale. Un filmato dei dibattiti sarà disponibile sul sito della rivista.  

Diacronie è soprattutto storia digitale, o meglio,come suggerisce Rolando Minuti in un recente saggio sulle riviste storiche «on-line» di storiografia digitale, Diacronie, mostra attraverso il web ed i suoi strumenti accessibili a tutti, la voglia di protagonismo delle giovani generazioni. Quelle generazioni aggiungo io, che sembrano ormai emarginate dall’università italiana e che, pertanto, cercano il dialogo a livello internazionale e pubblicano anche in inglese e in altre lingue. L’iniziativa di Diacronie come si legge nel Progetto editoriale della rivista, intende dedicarsi «all’esplorazione delle possibilità che il web offre alla ricerca storica soprattutto per quanto riguarda la legittimazione di studi, materiali e fonti che non sempre ottengono pieno riconoscimento attraverso i circuiti di diffusione più tradizionali». E dunque, l'ambiente digitale con le sue nuove fonti e le sue nuove pratiche, era certamente uno dei più consoni e funzionale a questo progetto editoriale. Minuti fa esplicito riferimento all’intento della rivista di aprirsi al pubblico e ai pubblici diversificati, -a usare anche forme di comunicazione consone alla Public History ovvero "di mantenere chiari connotati di scientificità di derivazione accademica, ma di tendere comunque a proporsi informe e con criteri più liberi e autonomi rispetto alla cornice di gestione e controllo tradizionalmente propria degli studi accademici, mostrando una sensibilità nuova per la divulgazione e l’informazione estesa ad un pubblico ampio di lettori. Si tratta di una tendenza che mostra una chiara esigenza di partecipazione e di condivisione di esperienze di ricerca e riflessione, di ampliamento del versante della comunicazione storica oltre i confini del tradizionale circuito accademico, e che è dimostrata in particolare dalla connotazione fortemente giovanile di alcune iniziative, espressione della volontà di tradurre operativamente una formazione agli studi storici costruita nel contesto universitario in una realtà sociale e civile che, com’è noto, presenta particolari difficoltà per i giovani storici."
Minuti rileva simili caratteristiche in alcune riviste online come «Storicamente», «Storia e futuro», «Officina della storia» o il «Giornale di storia». "Tuttavia, -egli scrive-, queste caratteristiche risultano particolarmente evidenti, ad esempio, in un’iniziativa come «Diacronie. Studi di storia contemporanea»,  che nasce a Bologna nel 2009 e che propone, nella presentazione del progetto che ne è all’origine, una lettura delle possibilità offerte dalla rete in termini di esplorazione di nuovi contesti di legittimazione degli studi, di partecipazione, di estensione dei caratteri della scrittura storica mediante l’applicazione delle modalità ipertestuali e multimediali [...]. Un’esigenza diffusa di informazione e partecipazione attiva, -aggiunge ancora Minuti-, che non è certo scaturita dalla rete, ma che con lo sviluppo del web ha sicuramente trovato modo di manifestarsi in modo vistoso e destinato, a mio parere, ad espandersi e ad assumere forme nuove anche rispetto a quelle attualmente esistenti.” (Rolando Minuti: “Le riviste storiche “on-line”, in Studi Storici, aprile-giugno 2012, a.53/2,pp.351-368, qui, p.363-364)

La  “Digital History” per Diacronie è “l’utilizzo di strumenti digitali applicati alla ricerca storica, dall’analisi delle fonti alla diffusione dei risultati” e la rivista si chiede: “Has the digital revolution transformed how we write about the past — or not? Have new technologies changed our essential work-craft as scholars, and the ways in which we think, teach, author, and publish? Does the digital age have broader implications for individual writing processes, or for the historical profession at large?" Si chiede Diacronie se siamo davanti a "una semplice, ma profonda, evoluzione del mestiere di storico? Un nuovo campo disciplinare a sé stante? Qualcosa di ancora differente? Per quel che ci riguarda -scrivono- noi sposiamo con convinzione l’idea esposta in questo numero da Claire Lemercier, secondo laquale è indispensabile una normalizzazione attraverso la quale l’etichetta di“Digital History” non sia più necessaria. Piuttosto che operare per la costituzione di una sotto-disciplina […] a noi sembra importante partire dal principio che, nell’era digitale, tutta la storia è, almeno in parte, digitale. Questo ci porta alla seconda necessità: quella della formazione di future storiche e storici all’uso di strumenti informatici e di risorse digitali indispensabili a molti, se non a tutti, i ricercatori che si occupano di storia. Oggi quella di offrire agli storici in fieri i mezzi per orientarsi nel nuovo mondo digitale è una sfida che non è stata ancora raccolta dalle istituzioni culturali e universitarie."
Questa definizione offre certamente la capacità di dialogare con chi rifiuta, paventa o si disinteressa dell'introduzione della tecnologia e del suo contributo al mestiere di storico hanno sottolineato Deborah Paci ed Elisa Grandi durante la discussione. Mantenere un profilo basso di fronte all'avvento delle tecnologie sarebbe un modo "diplomatico" di poter proporle e, una volta dominate con facilità, permettere di aggiungerle agli strumenti esistenti del mestiere di storico. E' anche questa definizione, molto simile, a mio parere, a quella che della Digital History troviamo sulla Home Page, del sito web del Roy Rosenzweig Center for History and New Media (CHNM) della George Mason University: Digital history is an approach to examining and representing the past that takes advantage of new communication technologies such as computers and the Web. It draws on essential features of the digital realm, such as databases, hypertextualization, and networks, to create and share historical knowledge. Digital history complements other forms of history— indeed, it draws its strength and methodological rigor from this age-old form of human understanding while using the latest technology.”
Ora, dobbiamo considerare la rivoluzione digitale soltanto come complemento, come nuova “boîte à outils” come la Storia Digitale viene chiamata nel blog di Emilien Ruiz e di Franziska Heimburger autori per Diacronie del bel saggio: “Has the Historian’s craft gone digital?“ quando affermano che “we do not have the impression that the “digital revolution” will lead to a change in the fundamental epistemology of historical research. That said, the historian’s craft is changing and it is subject to profound evolution in [its] practices ….
O con Claire Lemercier, nella sua intervista a Diacronie, quando parla degli strumenti digitali che organizzano la scrittura della storia, un concetto molto restrittivo dell'impatto del digitale sull'intero processo storiografico e che non tiene conto delle aspettative epistemologiche nuove dei Digital Humanities ?  
La digital history è una disciplina “autogestita” grazie alla boîte à outils, talvolta con formazioni specifiche all’uso di quei strumenti nuovi, mentre, a livello accademico invece, le digital humanities sono “ufficialmente” già una nuova disciplina. Esistono dei livelli di approfondimento diversi dall’uso degli strumenti del digitale, al pensare diversamente la ricerca attraverso il digitale e grazie al digitale e infine ai processi di comunicazione e di partecipazione della storia negli ambienti digitali. Questi livelli non sono incompatibili.
Ora il problema rimane di sapere se quest'approccio "soft" formulato da Diacronia all'impatto del digital turn nelle scienze umane e sociali e, nello specifico, nelle discipline storiche, permette realmente di carpire l'importanza della rivoluzione epistemologica che ha investito il mestiere dello storico da quando il web è nato. 

La storia digitale possiede quattro dimensioni. 

Zotero
La prima è fatta da quei famosi strumenti, la "boite à outils" dello storico con le tecnologie digitali, ovvero le Risorse e Servizi (1) -software, banche dati, strumenti vari- che internet e soprattutto il web offre allo storico per praticare la storia con il digitale. Diacronia accenna a quei "tools" principi della rivoluzione digitale con il saggio Au-delà de la gestion des références bibliographiques: Zotero scritto da Frédéric Clavert. 
La Storiografia Digitale, (2) ovvero le variegate forme di narrazioni della storia che esistono in rete e che vengono talvolta chiamate storiografia espressiva è la seconda dimensione della storia digitale. mentre le Fonti Primarie (3) nuove, native digitali o meta-fonti che provengono da un passaggio dall'analogico al digitale costituiscono la terza dimensione. Infine, le tecniche, contenuti e servizi che la rete offre per l’insegnamento e la didattica della storia (4) se non incorporate nella prima dimensione del digitale, ne sono, de facto, una quarta per l'importanza del processo didattico a storia.
E anche se accettiamo questa divisione del campo in quattro grande aree, la Digital History pone alcuni problemi che, di per sé, mostrano che la rivoluzione in atto tocca le fondamenta stesso del mestiere dello storico. I contenuti della rete sono di difficile valutazione visto che spesso l'autorità  e l'autorialità in rete di chi scrive viene persa o, fusa all'interno di una narrazione a più mani ed interdisciplinare nella quale ognuno è parte integrante del processo autoriale. Inoltre, in rete e nel virtuale, I contesti spariscono, i contenuti si modificano, ponendo enorme difficoltà a chi volesse ricorrere al concetto di autenticità dei documenti e volesse accertare la loro provenienza. In rete la comunità scientifica ha perso il controllo dei discorsi di storia, anzi, ha abdicato all'idea di proporne direttamente in forme riconoscibili ed accessibili per tutti, sicché la storia che troviamo in rete è la storia di“ognuno”, fatta da tutti. 
Per molti la rete è soltanto il campo del facile plagio. Tuttavia se la rete permette  il ri-uso semplice e la riconversione dell’informazione, è anche molto facile oggi -proprio grazie ai software di rete-, di determinare la provenienza dei contenuti e la loro relativa originalità. 
Certo, la rete necessita di sviluppare una grammatica critica e di insegnare un metodo critico per la storia in rete e questo non viene fatto. L'università -forse è una questione di potere e di generazioni- non riconosce ancora alla storia digitale uno statuto di scientificità né percepisce ancora l'estensione e l'importanza della rivoluzione digitale e nemmeno quello dei Digital Humanities che vengono insegnati sporadicamente come formazione complementare di altre lauree e come laurea breve e magistrale soltanto all'università di Pisa o, come dottorato in Storia e Informatica a Bologna che sembra essersi purtroppo chiuso nell'anno accademico 2009-2010.
La ricerca delle fonti ha, da sempre, caratterizzata l'attività professionale degli storici, e definito il mestiere dello storico. Oggi, la presenza delle meta-fonti, immagini derivate da una fonte analogica che sono spesso migliorative delle qualità che possedevano prima della loro digitalizzazione e, più ancora, di fonti “born digital”, le fonti native in formato digitale, pongono problemi nuovi all'euristica storica e alla storiografia. 
Per non accennare al fatto che i siti web, la rete stessa ed I suoi materiali sono fonti primarie, forse le fonti più ricche e variegate che mai lo storico ha avuto a portata di mano e che permettono di indagare su ogni aspetto presente e passato, diacronici e sincronici, della storia e della memoria. 
Una volta definito il corpus di fonti digitali, queste vengono sottomesse a nuove domande grazie ai nuovi strumenti digitali. Certo, sono necessari gli operatori dell’intermediazione, i cosidetti "passeurs" per usare un termine adoperato nei seminari ATHIS, gli Ateliers Histoire & Informatique in Francia e in Italia, i nuovi professionisti interpreti dei linguaggi storiografici e tecnici che si mescolano nella storia digitale.
Bisogna anche poter ripensare I criteri di valutazione adoperati a fatica finora anche nelle scienze umanistiche di fronte alla presenza di nuovi processi narrativi e delle nuove forme di storiografia che si trovano in rete. Tra metodi, pratiche, narrazione e euristica, vediamo che il metiere dello storico subisce con il digitale una profonda rivoluzione.
Queste breve, schematiche riflessioni, che ho in parte pronunciate durante la presentazione della rivista Diacronie a Bologna, sottolineano che, con la Storia Digitale, non parliamo soltanto di usi di strumenti o di attrezzi nuovi dello storico ai quali bisogna essere introdotti per poi praticare la storia come prima. Possiamo invece equiparare la rivoluzione digitale al periodo della nascita del libro a stampa durante il Rinascimento. A breve la ricerca scientifica si farà solo con fonti digitali e all’interno del digitale. Stiamo assistendo ad una nuova era scientifica per le Scienze Umane e Sociali con i cambiamenti radicali nell’uso degli strumenti, le nuove pratiche ed i nuovi metodi che si applicano a nuovi paradigmi epistemologici derivati dalle nuove fonti disponibili nella rete. Si sviluppano nuovi approcci necessariamente interdisciplinari, si praticano nuove forme di interscambi delle conoscenze con i nuovi media e le nuove tecnologie, si devono pensare nuove forme di valutazione degli oggetti scientifici in formato digitale. Se tutte queste componenti non partecipano di un processo rivoluzionario nella storiografia !

Sono ormai molti gli studiosi che usano con sempre maggiore frequenza il concetto di Digital History per designare una nuova area disciplinare all'interno della storia, prima che la storia tutta diventi storia digitale. Una ricerca con le parole Digital History in Google Ngram Viewer per il periodo che va dal 1980 al 2008, dopo la nascita del web e del browser Mosaic e quando il concetto venne poi introdotto nel dibattito storiografico da Edward Ayers per descrivere il suo progetto Valley of the Shadow, permette di fare risalire al 1993 la data di nascita della disciplina nuova e, potremmo dire, della nuova storia.

  

No comments:

Post a Comment

Your Comments, Suggestion, Information are Welcome !