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Palazzo Franchetti, Istituto Veneto |
Partecipanti raggruppati dietro a Marina Miraglia, Presidente Onoraria della SISF, la Società Italiana per lo Studio della Fotografia |
Un video dei lavori del convegno è disponibile in rete su Youtube e nel sito stesso dell'Istituto. Partecipavo ad una tavola rotonda dal profumo spiccatamente transdiciplinare coordinata dallo storico contemporaneista Mario Isnenghi che ha applicato all'Italia lo studio dei "luoghi di memoria" della Francia di Pierre Nora. Gli altri partecipanti erano, la storica delle donne e della resistenza, Maria Teresa Sega e alcuni illustri intelletuali e scienzati come lo studioso di letteratura comparata Remo Ceserani, lo specialista di teoria dell'informazione Giuseppe O. Longo, l'etologo e infine, studioso dei comportamenti animali Danilo Mainardi, popolare personnalità della televisione italiana.
Il mio contributo verteva oviamente sulle fonti fotografiche dal punto di vista della storia digitale e sulla loro pubblica presenza in rete, una fonte essenziale per la "public history".
Prima di parlarne, torno un istante su cosa si proponeva di fare questo convegno nel quale ho avuto anche l'occasione di incontrare un mito della mia gioventù universitaria a Bruxelles, lo storico del cinema e dei media della Sorbonne, Pierre Sorlin, che si propone oggi di analizzare i linguaggi degli storici nel web.
Da sinistra a destra al primo piano: Gian Piero Bruneta, Carlo Alberto Zotti Minici e Alberto Prandi |
Gli ideatori ed organizzatori, Gian Piero Brunetta, Carlo Alberto Zotti Minici e Sara Filippin, avevano annunciato lo spazio scientifico del convegno: Il modello dominante di storia della fotografia, almeno in Italia, è ancora quello estetico e per autori, affermano Brunetta e Zotti nella loro introduzione al convegno. Tale modello risulta però riduttivo poiché non tiene sufficientemente conto degli usi sociali che coinvolgono la fotografia. Oltre che opera d'arte, la fotografia è anche un modo, culturalmente e socialmente determinato, di divulgare idee ed eventi, di evocarli e ricordarli, di occultarne e mistificarne altri, in sostanza di costruire una politica e una memoria storica: è quindi fonte, documento ma anche mezzo di rappresentazione della realtà. Da ciò deriva l'importanza di pensare ad una storia della fotografia che sia anche storia della presenza sociale di questo mezzo ormai parte dell'orizzonte visivo e del vissuto di tutti: non più una storia della fotografia, ma una "storia delle fotografie", una storia di storie....
Certo non so di Storia d'Italia attraverso la fotografia che era il tema che si declinava anche nelle sue caratteristiche regionali venete. I veri specialisti del tema, quelli che hanno studiato la storia delle fotografie italiane e il loro nesso con la storia d'Italia, Gabriele D'Autilia, Giovanni Fiorentino, Adolfo Mignemi, Luigi Tomassini e tanti altri, erano presenti. Mancavano forse all'appello Giovanni De Luna e Peppino Ortoleva che hanno entrambi rinnovato le riflessioni sulla fotografia come media comunicativo e come fonte per la storia. Per De Luna, la fotografia -anche storica- già dagli anni ’80 si era imposta come fonte centrale per una nuova storia proprio in funzione dei suoi aspetti mediatici e comunicativi che, penso, siano ancora maggiormente rafforzati dall’apparizione del digitale e dalla rivoluzione tecnologica vissuta negli anni ’90. André Gunthert, specialista degli studi visivi all’EHESS a Parigi, rileva oggi che l’approccio critico al documento fotografico analogico, non è dissimile da quello che dobbiamo avviare con il digitale. L’elemento di falsità che era inerente anche all’immagine analogica si ritrova certo con il virtuale, ma non ne falsa sistematicamente l’attendibilità e, soprattutto, ci offre un ulteriore terreno di inchiesta, sicché si può affermare che il paradigma realistico della fotografia sopravvive con il digitale.
Mi sono dunque limitato a parlare di digitale, ovvero di fotografie digitali o, meglio ancora delle caratteristiche della rivoluzione digitale e di come il digital turn abbia permesso di intendere diversamente in rete la presenza sociale, spesso politica della circolazione delle immagini che sottolineano processi identitari e invocano memorie individuali e comunitarie che non possedevano una rappresentazione prima di approdare nella rete. E questo vale anche per le testimonianze del passato che non trovano ascolto nel presente e per i documenti dimenticati delle generazioni precedenti che accompagnano queste memorie. La presenza di milioni di fotografie nei netwok sociali, quelle fotografie che ripetono all'infinito i riti sociali e popolari di ogni individuo e di ogni commmunità, sono la continuazione di quelle fotografie analogiche di famiglia che Pierre Bourdieu aveva analizzate nella loro ripetitività. Daniel Roche interessandosi a “l’Histoire des choses banales” -lo statuto che Bourdieu certamente attribuiva alle fotografie di famiglia negli anni ’60 e ’70 nel suo saggio sulla fotografia come "arte media"-, ha tratto una precisa ricostruzione della vita parigina attorno alla rivoluzione francese, grazie al giornale del vetraio Jean-Louis Ménétra, un umile artigiano letterato.
Forse si tratterà soltanto, con le fotografie che provengono da fondi pubblici e da collezioni private, di rintracciare anche lì il segno, la traccia che cerca Carlo Ginzburg nelle piccole cose e nel locale? E nella moltitudine di documenti simili, moltiplicare le stesse tracce digitali per ottenere un senso a loro comune? A quel punto re-indirizzeremo la critica della fonte fotografica e l’analisi del contesto digitale in modo diverso anche grazie al loro grande numero e alla loro sistematica ripetitività?
Lanterna Magica, fotografia scattata da Luigi Chiesa, disponibile in Wikimedia. |
La rivoluzione digitale ha trasformato profondamente la storia stessa della fotografia con il passaggio dalle pellicole ai pixel e questo anche se siamo, mi sembra, ritornati alla seconda metà del XVII° secolo quando Athanasius Kircher rappresentava uno strumento che aveva visto in Cina, la lanterna magica che progettava la luce attraverso vetri dipinti. Come allora i vetri dipinti, le fotografie digitali oggi necessitano di uno strumento per essere visualizzate, illuminate. Quello che teniamo in mano non sono le fotografie, ma soltanto degli emulatori di fotografie, questi strumenti che mediano tra i nostri occhi e le fotografie che abbiano scattato o stiamo visionando.
A Venezia, ho tentato di introdurre il tema del digitale attraverso la metafora del giocatore di bowling pronto a lanciare la boccia verso birilli che rappresentano le conoscenza e le pratiche consolidate. I birilli rappresentano tuttora un sapere accertato in materia di fotografia e della storia e della critica della fotografia. Dovremmo verificare, una volta lanciata la boccia che rappresnta il digital turn, quanti birilli rimarranno in piedi.
Questa rivoluzione digitale, come insegna Gunthert, ha avuto un impatto rivoluzionario sulle pratiche con la fotografia nel 21° secolo e sull'intera cultura visiva contemporanea, sull'intero campo dei visual studies. Il nuovo ruolo socio-politico delle immagini in rete ha permesso così alcuni cambiamenti epocali nelle pratiche di ognuno con le fotografie. E non solo con le fotografie potremmo aggiungere parlando di come la storia si declini in molti modi non controllati né controllabili in rete. E' la storia stessa che possiede oggi nuove fonti che non sono soltanto documenti negli archivi o riproduzioni di immagini in altri contesti analogici, ma nuove fonti documentate nei nuovi contesti communicativi del mondo digitale. Tutte le fotografie di rete sono potenzialmente fonti per la storia, indipendentemente dalla loro origine e dalle loro collocazione nei siti web.
Isabella Balena (2004) Ci Resta il Nome |
Ed è molto difficile -soprattutto nell’era dei network sociali e del web 2.0-, dividere le fotografie tra una produzione pubblica e istituzionale e, invece, una produzione d’immagini private. Pubblico e privato, sono concetti poco definiti nell’era digitale. Questo vale soprattutto per quanto riguardano le immagini fotografiche che circolano nella rete e che sono parte integranti di siti web che connottano di significati talvolta diversi e contradditori le immagini che veicolano. Ho studiato altrove come le fotografie violenti della seconda intifada in Israele siano utilizzate da entrambi gli schieramenti con descrizioni opposte nei siti web della rete mondiale. La stessa fotografia permette opposte caption di quello che ci documenta come ha sottolineato Arturo Carlo Quintavalle, eminente critico d'arte parmense, durante le giornate veneziane, parlando del doppio uso, franchista e repubblicano, delle stesse fotografie della Guerra civile di Spagna.
Come fonti, le immagini e i suoni ci parlano del loro presente scrive Giovanni De Luna (La passione e la ragione. Il mestiere dello storico contemporaneo, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p.195). Tuttavia, le fotografie non parlano solo del loro presente come si è ben visto attravero l'opera della fotografa Isabella Balena che documenta oggi la Guerra Civile italiana del 1943-45. Isabella Balena sceglie di fotografare le testimonianze che rimandano anche storicamente, nelle informazioni che offrono le sue fotografie, alla Seconda Guerra Mondiale. Il suo libro Ci resta il nome pubblicato nel 2004, è un tentativo di ricordare nell'oggi quel passato. L'atto di fotografare i luoghi e le modalità con i quali, oggi, la memoria viene mantenuta viva e coltivata attorno ai luoghi del passato, documenta sia in modo sincronico, immediato, nel presente, che diacronico, quando rivela e documenta il passato. Quando Isabella Balena, parlando di se stessa e della sua attività, si scopre public photographer, inscena una forma di reenactment diremmo oggi per nominare un'attività cara alla Public History, ovvero una rivisitazione attuale attravero l'occhio della sua macchina fotografica, delle testimonianze materiali - i luoghi di memoria materiali afferma lo storico Jay Winter- della seconda guerra mondiale, un passato che segna l'ambiente, il paesaggio, le città e che Balena fotografa oggi sapendo perfettamente di anche documentare il passato e le sue memorie talvolta controverse.
Non solo dal punto di visto comunicativo, la rete ha profondamente innovato con la fotografia. Ha questionato anche la conoscenza che si era costruita attorno all'apparato critico, descrittivo e di riflessioni scientifiche che ruota attorno alla fotografia, al supporto che contiene le fotografie e, soprattutto, attorno alla loro conservazione negli archivi. Le foto non sono più soltanto singoli documenti parte di fondi analogici negli archivi, descritti in rapporto al fondo -e anche individualmente- con alcuni meta-dati o con una scheda predisposta all'uopo dal ministero. Oggi le fotografie in viaggio nella rete sono parti integranti di un sito web che danno alle foto un senso "altro" e sempre da analizzare. Oltre quello che ci fa vedere, la fotografia in rete è soprattutto fatta di alcuni bites i punti di luce che, insieme ad altri bites, appartengono ad una struttura ipertestuale fatta di testi, video, immagini, rimandi, pagini, ecc.. Ed è come tali che le fotografie devono essere interpretate e decifrate, usando di criteri adattati al nuovo media, la rete, come quelli che avevamo individuati nel 2004 per un avvicinamento critico ai siti web. (Antonino Criscione, Serge Noiret, Carlo Spagnolo and Stefano Vitali: La Storia a(l) tempo di Internet: indagine sui siti italiani di storia contemporanea, (2001-2003)., Bologna, Pátron editore, 2004).
Come fonti, le immagini e i suoni ci parlano del loro presente scrive Giovanni De Luna (La passione e la ragione. Il mestiere dello storico contemporaneo, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p.195). Tuttavia, le fotografie non parlano solo del loro presente come si è ben visto attravero l'opera della fotografa Isabella Balena che documenta oggi la Guerra Civile italiana del 1943-45. Isabella Balena sceglie di fotografare le testimonianze che rimandano anche storicamente, nelle informazioni che offrono le sue fotografie, alla Seconda Guerra Mondiale. Il suo libro Ci resta il nome pubblicato nel 2004, è un tentativo di ricordare nell'oggi quel passato. L'atto di fotografare i luoghi e le modalità con i quali, oggi, la memoria viene mantenuta viva e coltivata attorno ai luoghi del passato, documenta sia in modo sincronico, immediato, nel presente, che diacronico, quando rivela e documenta il passato. Quando Isabella Balena, parlando di se stessa e della sua attività, si scopre public photographer, inscena una forma di reenactment diremmo oggi per nominare un'attività cara alla Public History, ovvero una rivisitazione attuale attravero l'occhio della sua macchina fotografica, delle testimonianze materiali - i luoghi di memoria materiali afferma lo storico Jay Winter- della seconda guerra mondiale, un passato che segna l'ambiente, il paesaggio, le città e che Balena fotografa oggi sapendo perfettamente di anche documentare il passato e le sue memorie talvolta controverse.
Non solo dal punto di visto comunicativo, la rete ha profondamente innovato con la fotografia. Ha questionato anche la conoscenza che si era costruita attorno all'apparato critico, descrittivo e di riflessioni scientifiche che ruota attorno alla fotografia, al supporto che contiene le fotografie e, soprattutto, attorno alla loro conservazione negli archivi. Le foto non sono più soltanto singoli documenti parte di fondi analogici negli archivi, descritti in rapporto al fondo -e anche individualmente- con alcuni meta-dati o con una scheda predisposta all'uopo dal ministero. Oggi le fotografie in viaggio nella rete sono parti integranti di un sito web che danno alle foto un senso "altro" e sempre da analizzare. Oltre quello che ci fa vedere, la fotografia in rete è soprattutto fatta di alcuni bites i punti di luce che, insieme ad altri bites, appartengono ad una struttura ipertestuale fatta di testi, video, immagini, rimandi, pagini, ecc.. Ed è come tali che le fotografie devono essere interpretate e decifrate, usando di criteri adattati al nuovo media, la rete, come quelli che avevamo individuati nel 2004 per un avvicinamento critico ai siti web. (Antonino Criscione, Serge Noiret, Carlo Spagnolo and Stefano Vitali: La Storia a(l) tempo di Internet: indagine sui siti italiani di storia contemporanea, (2001-2003)., Bologna, Pátron editore, 2004).
Il digital turn non sembra tuttavia aver messo in discussione l'essenza stessa della fotografia come documento, la sua stessa ontologia. La fotografia documenta il mondo dal XIX° secolo. La fotografia digitale in rete continua certamente a farlo permeata delle nuove caratteristiche del media che la proietta in rete sicché, per analizzarla, bisogna capire il web e le sue trasformazioni. Le fotografie ci raccontano le loro storie nel presente, oggi come ieri, ma diventano anche documenti della memoria.
La fotografia sembra spesso ripudiata dagli storici come oggetto scomodo, difficile da trattare se non per illustrare un discorso. Essa invece permette anche di farsi narrazione e narrazione pubblica. E' un modo di fare storia a partire delle cose e delle persone che sono fotografate. Fare il fotografo oggi può così diventare un modo per creare un documento e un preciso racconto attorno al rappresentato. Siamo entrati così intimamente, con la fotografia di rete, anche nell'ambito della Digital Public History, della storia pubblica.
Molto interessante. Grazie!
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