Public History e Storia Pubblica
Gli storici di professione partecipano
attivamente ai dibattiti pubblici nei media e la storia viene celebrata nelle
pubbliche piazze. Allo stesso momento, una densa rete di istituzioni e di media
si dedicano ai beni culturali, alla storia e al patrimonio storico-culturale,
aiutando così a confrontarsi con il ruolo che la storia e la memoria recitano
nella sfera pubblica. In questo modo, il campo disciplinare della Public
History in Italia e in Europa è legato alle identità collettive a diversi
livelli: dalle memorie locali alla costruzione di “Heimaten” o luoghi di memoria
regionali, nazionali e pan-Europei. I luoghi storici, le piazze, i monumenti, i
paesaggi, posseggono tutti un loro significato storico locale, regionale e
nazionale che aspetta il lavoro dei “public historians”, gli storici
pubblici, per incontrare l’interesse delle diverse comunità che li circondano e
che cercano di interpretare il passato anche grazie a chi fosse in grado di
decifrarlo. Gli Europei –ma questo è vero in tutti i continenti- cercano di
conservare, proteggere ed interpretare le loro storie, le loro identità e tradizioni multi-dimensionali e le testimonianze diverse dall'archeologia alla storia orale, che ne rendono conto. Questa ricerca
passa attraverso la pratica della Public History.
Gli storici in generale hanno il compito
di fare crescere la conoscenza del passato, aggiungendo fatti e recando un
maggior livello di approfondimento ai fatti già conosciuti. Per fare ciò, essi
usano fonti primarie, possibilmente inedite, e basano le loro ricostruzioni del
passato su un corpus di studi storiografici. Inoltre, essi trasmettono questa
conoscenza con l’insegnamento e con pubblicazioni nei circoli accademici: si
viene giudicato dai pari e si pubblica per i pari. L’attenzione per le
necessità professionali della storia in pubblico non è all’ordine del giorno
della formazione scientifica degli storici in Italia. E tuttavia, la storia è
dappertutto come presenza del passato nei luoghi che potrebbero ricordarlo.
Offerte pubbliche di storia esistono per decifrare il passato e le testimonianze che ci circondano.
Questo “fare storia” attorno a noi non è sempre un’attività svolta da storiche
e storici di professione che si incaricano di mediare con il passato come
vedremo da alcuni esempi qui di seguito. La pratica professionale della Public
History non è insegnata nelle università e gli storici accademici non hanno
come primo obbiettivo quello di favorire una maggiore comprensione pubblica e
una maggior presenza della storia come fattore interpretativo del presente
attraverso una diffusa conoscenza del passato nella società. Gli Stati Uniti sono la
patria di un fiorente movimento di Public History
che riflette sui miglior modi di trasmettere una riflessione pubblica sul
passato in molti ambiti diversi ed usando anche
parchi storici e monumenti storici ed archeologici, per incontrare la
curiosità dei pubblici suscettibili di avvicinarsi alla storia nazionale.
Molti
dei programmi di Public History nelle università degli USA includono
corsi interdisciplinari che attingono all’archeologia, all’antropologia,
all’arte e alla storia dell’arte, alla geografia storica ed umana,
all’umanistica digitale e alla storia digitale, al folklore, alla gestione
amministrativa, agli studi politici, alla biblioteconomia e alle scienze
dell’informazione. I corsi sono interdisciplinari perché le fonti della public
history sono molto diversificate e riguardano anche l’archeologia, i
paesaggi, le testimonianze orali, gli oggetti materiali, le costruzioni
architettoniche, i siti archeologici, i materiali visivi, i dati elettronici,
ecc.. Se la disciplina è una realtà più che trentennale negli USA, essa è anche
presente come tale, negli insegnamenti delle università di altri paesi
anglo-sassoni compresa la Gran Bretagna. In Europa continentale, fuori dalle università,
i musei, gli archivi, le biblioteche privati e pubblici, le istituzioni
culturali storiche sul territorio praticano tutti forme di Public History
come, per esempio, gli Istituti della Resistenza e dell’Età contemporanea in
Italia. Inoltre, la Public History utilizza sistematicamente i media per
diffondere la storia, ma è soprattutto il Web che, promuove al meglio la storia
pubblica digitale, cannibalizzando gli altri media. (Ho avuto modo di scrivere di Public History altrove e di descrivere con un post precedente in inglese, la recente
storia e gli scopi della International Federation for Public History (IFPH) –
Fédération Internationale pour l’Histoire Publique (FIHP).
Per parlarne brevemente in Digital & Public History -anche in funzione di una giornata di studio sui linguaggi della storia nel web che avrà luogo il 10 novembre 2012 all'Istituto Parri di Bologna-, vorrei iniziare da una conversazione che si è svolta in villeggiatura
quest’estate 2012 con un mio amico, lo storico dell’economia, Andrea Giuntini,
che ha in comune con molti altri storici fiorentini, la passione per la
bicicletta. E difatti, quando a giugno organizziamo una riunione di redazione
della rivista “Memoria e Ricerca” presso la Casa di Oriani a Casola
Valsenio in provincia di Ravenna, egli disdegna il passaggio in macchina perché
indossa la maglia del Ciclistica Oriani e arriva
sempre a Casole inerpicandosi sul Passo della Colla. Parlare di
bicicletta mi permette di introdurre una riflessione sulle necessità di una diffusa presenza di "storia pubblica" nei luoghi della seconda guerra mondiale dove la storia si fa, da anni, prepotentemente pubblica.
Pellegrinaggi
nei luoghi del fascismo e della Guerra Civile italiana: la camera del Duce a
Campo Imperatore e la cripta dei Mussolini a Predappio.
Targa
commemorativa all’entrata della stanza di Mussolini a Campo
Imperatore.(Provenienza: On the road to Kabul and other short stories of
treks. Italy: Appenines, Gran Sasso, June 2005.)
A luglio di quest’anno, la comitiva
fiorentina alla quale ho appena accennato, aveva organizzato una gita in
bicicletta sul Gran Sasso d’Italia. Vista la calura estiva, la comitiva si era
fermata in un albergo di Campo Imperatore alla ricerca di refrigerio. Ora si sa
che, sulle vette del Gran Sasso, proprio in quell’albergo costruito sotto il
fascismo, l’Hotel Campo Imperatore,
Mussolini fu tenuto prigioniero dopo il 25 luglio 1943 e la caduta del
fascismo.
Oggi, la camera che fu del “Duce del Fascismo” decaduto è diventata un “piccolo
museo visitabile” dagli anni ‘90
come recita il sito web della Regione Abruzzo. Visitatori per caso come i
nostri ciclisti fiorentini o consapevoli turisti dei luoghi del fascismo,
trovano dunque sul Gran Sasso, un piccolo monumento di storia pubblica. La
storia dell’ultima fase del fascismo, quella della Guerra Civile, incrociava in
effetti, quasi settant’anni fa, un Hotel costruito tra il 1931 e il 1934 per
favorire il turismo alle pendici del Monte Aquila. Il luogo della prigionia del
Duce è una fonte materiale simbolica del fascismo.
“Bundesarchiv, Bild 101I-567-1503C-14 / Toni
Schneiders / CC-BY-SA, 12 settembre 1943.” Fotografia di Toni Schneiders
conservato negli Archivi Federali tedeschi e disponibile tramite Creative
Commons, 3.0, in it.Wikipedia
Mi disse Giuntini che era
rimasto sgomento dal suo utilizzo commerciale senza un' adeguata contestualizzazione
storica. Per due Euro chiesti dal gestore dell’albergo, si visita la camera,
luogo di custodia del capo del fascismo. Certo l’operazione Quercia con le
gesta del maggiore dei paracadutisti tedeschi Harald-Otto Mors e del capitano
delle SS Otto Skorzeny, permise di liberare un Mussolini già sconfitto, creando
così le condizioni per il divampare della guerra civile nel Nord Italia per un anno
e mezzo. Spiegare pubblicamente anche questi importanti risvolti offrirebbe
contesti critici adeguati a quel luogo del tragico passato italiano dove non
basta magnificare le gesta dei tedeschi ed aprire la camera dove Mussolini fu
rinchiuso nell’estate ’43.
Tutt’oggi,
la Guerra Civile italiana rimane fonte di controversie pubbliche e di visioni
revisionistiche della storia anche con il sostegno di parti politiche che si
richiamano all’eredità di Salò e hanno sostenuto alcuni governi Berlusconi.
Difatti, le memorie di chi continuava a spalleggiare il nazi-fascismo in
contrasto con chi lottava con gli Alleati per liberare l’Europa e per costruire
un Italia anti-razzista e democratica nel dopoguerra, continuano a confrontarsi
oggi. La camerina del Duce a Campo Imperatore diventa così un luogo di memoria
del post-fascismo e non un'occasione di riflessioni sulla società fascista e il
passato dittatoriale. Così si venera l’uomo e un'idea del regime senza il
distacco critico o le spiegazioni che questi luoghi meriterebbero.
La cripta della famiglia Mussolini a
Predappio in provincia di Forlì, dove i resti del Duce furono riportati nel
1957, ha suscitato per anni una
contrapposizione violenta tra gruppi politici di estrema destra -che sfruttano
i luoghi mussoliniani per parate neo-fasciste- e gruppi politici di estrema
sinistra. La tomba è diventa un simbolo politico per sfilate di nostalgici in
camicie nere e militanti neo-fascisti, per un uso politico del passato che
infrange la legislazione penale italiana e nello specifico, il divieto di
apologia del fascismo e del suo capo. Viene anche imbrattata da scritte
anti-fasciste.
Tuttavia la cripta Mussolini, come la
camera di Campo Imperatore, è oggetto anche di forme di turismo della storia.
Essi diventano luoghi molto appetibili commercialmente, che permettono
soprattutto di vendere Souvenirs del Duce e del fascismo nei negozi di
Predappio, un vero “business” del passato senza la storia o, piuttosto, con la
storia come opinione e fede per la politica odierna. In assenza di un grande
museo storico sull’epoca fascista in Italia, i luoghi mussoliniani
contribuiscono a costruire un alone agiografico attorno al Duce laddove
sarebbero invece necessari la riflessione e il lavoro per il pubblico da parte
di storici professionali con uno sguardo alla società e alla cultura italiana
in epoca fascista, quel che tenta di fare –in scala locale e da pochi anni-, il
piccolo museo privato costruito all’interno della casa dei Mussolini a
Predappio. Queste attività indicano la strada per una “public history”
che si potrebbe realizzare anche su larga scala a partire da quei luoghi
simbolici per favorire la conoscenza critica e professionale della storia del
fascismo.
Basterebbe leggere infatti i commenti e le discussioni dei social network
per capire quanto bisogno ci sia di conoscenza della storia e non di opinioni o
di ideologie, soprattutto per migliorare quello che anche la scuola compie con
difficoltà: aumentare il tasso di conoscenza pubblica sulla storia
contemporanea italiana non proprio fiorente oggi.
La storia pubblica del ventennio
fascista si può fare anche in quei luoghi simbolici e non solo nei
parchi storici e negli spazi che videro gli eccidi dell’ultimo anno di guerra
civile come a Monte Sole in Emilia.
Sarebbe un modo per rispondere all’interesse del pubblico dei visitatori che
non sono tutti pellegrini di una causa condannata dalla storia, ma anche
curiosi di sapere della storia italiana di tutto il Ventennio fascista oltre
che del destino individuale di chi inventò lo stato totalitario, la propaganda
di massa e il regime del partito unico.
Il
sacrario di Rodolfo Graziani ad Affile in provincia di Roma
Sacrario Graziani
ad Affile. Immagine tratta da Contropiano.org
Sempre legato alla storia della Guerra Civile
italiana, ad Affile in provincia di Roma, l’11 agosto 2012 è stato inaugurato
un monumento pubblico in memoria di Rodolfo Graziani, maresciallo dell’esercito
fascista ministro della difesa della Repubblica di Salò, giudicato nel
dopoguerra come criminale di guerra per le sue azioni come Viceré d’Etiopia nel
1936-1937.
”Non devo perdonare nulla al soldato con la “s” maiuscola, Graziani
-dice il sindaco di Affile, Ercole Viri-. Oggi abbiamo dimostrato che il
nostro concittadino non ha commesso errori. Onoriamo il generale in quanto
Affilano e degno di rivalutazione rispetto alla storia scritta da chi era mosso
da altri intenti”.
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Immagine
tratta dall'articolo di Marco Santopadre: "Affile: scrivono 'no al
fascismo' sul sacrario a Graziani, denunciati tre giovani", Venerdì 14 Settembre 2012, in Contropiano.org |
Domina così la storia come opinione politica e perde terreno la storia
accademica e scientifica che rivisita il passato con l’approccio critico
attraverso i suoi documenti e le sue testimonianze e che, da tempo, ha
giudicato l’operato di Graziani, uno dei più efferati criminali di guerra che
il fascismo abbia prodotto durante la sua alleanza con Hitler. Anche il New
York Times ha denunciato l’accaduto sottolineando l’ignoranza che circonda
il passato fascista da parte degli italiani e soprattutto del loro passato
coloniale.
Cosicché uomini dello stato e della politica odierna
affermano con tranquillità che gli studi scientifici sono mossi da intenti di
parte e che nelle università si pratica una storia di parte che non dà risposte
a chi, ancora oggi, riallaccia il suo presente al passato di Salò. Una
tale confusione pubblica sul passato non accade soltanto come vulnus alla legalità repubblicana. Esso
accade anche, a parere mio, per un deficit culturale e professionale, perché
non vi sono storici pubblici in Italia che abbiano come mestiere quello
di trasmettere a pubblici diversi, i risultati ottenuti dagli storici
universitari. Mancano i public historian che dovrebbero avvicinare le
diverse comunità nazionali usando delle loro conoscenze professionali di
storici alle quali aggiungere una conoscenza altrettanto professionale dei
linguaggi mediatici nell’epoca della rete.
In un paese che non possiede un
curriculum didattico che potrebbe formare gli studenti alla “public history”
di stampo anglo-sassone, per informare questi pubblici a proposito della loro
storia, suppliscono le istituzioni locali e territoriali della storia, spesso
con la collaborazione degli storici accademici. Questi operano come Public
Historian usando talvolta del linguaggio della rete e organizzando mostre e
festival di storia –una caratteristica specifica della storia pubblica
italiana-
per comunicare la storia alle comunità locali. Tuttavia, come in occasione dei
festeggiamenti per il 150° anniversario del Risorgimento nel 2011, ad eccezione
di pregevoli progetti di storia pubblica digitale e di alcune mostre, gli storici hanno spesso
preferito i convegni di tipo accademico piuttosto che confezionare prodotti
culturali più adatti ad avvicinare un vasto pubblico di curiosi nei luoghi
carismatici del passato nazionale: mettere in scena la presa di Porta Pia in
loco, avrebbe avuto un impatto pubblico, scenico e mediatico importante. Perché
non scommettere anche, per il periodo del ventennio e della guerra civile, di
poter trasmettere una riflessione più complessa sul passato proprio nei luoghi
del fascismo mussoliniano e, per farlo, perché non formare storici pubblici e
impiegarli all’uopo anche con l’ausilio di finanziamenti privati?
Negli Stati Uniti, per esempio, la
Guerra Civile attira da sempre il grande pubblico dei curiosi e appassionati
che si recano nei parchi storici come quelli di Gettysburg,
o nei musei storici come quello della Confederazione a Richmond in Virginia.
Il 150° anniversario, nel 2011, della guerra civile è un occasione per
ingaggiare il grande pubblico su tematiche non soltanto militari, come la
schiavitù e le vere cause della secessione e della guerra.
La casa Museo della famiglia Mussolini a
Predappio, per esempio, potrebbe certamente diventare un’occasione pubblica per
informare sulla storia del fascismo anche chi mai aprirebbe un libro di storia
accademica o assisterebbe a un convegno scientifico e avrà letto al più, i
libri di Indro Montanelli o di Arrigo Petacco, scritti in un linguaggio adatto
al grande pubblico. Perché allora non tentare di soddisfare con messaggi
culturali più complessi i curiosi di un passato fascista, parte importante
della storia nazionale italiana del ventesimo secolo? E questo anche quando i
turisti del passato sono invece quei nostalgici del fascismo, giunti in quei luoghi con
l’inaccettabile proposito di commemorare e celebrare il passato regime, che
forse così diventerebbero soltanto parte di una minoranza bizzarra in gita folcloristica
sui luoghi storici del totalitarismo e della guerra civile ?
Come
ricordare l’eccidio della divisione Acqui del settembre 1943?
Pochi giorni dopo l’armistizio dell’8
settembre e la liberazione di Mussolini da Campo Imperatore, tra il 15 settembre
e il 26 settembre del 1943, nell’isola greca di Cefalonia e nelle isole ioniche
allora occupate dai soldati italiani, la divisione Acqui resistette con le armi
invece di arrendersi ai tedeschi. Due monumenti e un piccolo museo ricordano i
caduti tra Cefalonia, Corfù, altre isole e alcune navi nelle quali molti
soldati erano stati tratti prigionieri.
Numerose testimonianze e studi scientifici -anche contraddittori- che esistono
sull’eccidio, sul numero dei morti italiani e sulle cause dei decessi, non
hanno scalfito l’enorme importanza simbolica, in termini resistenziali, della
lotta dei soldati italiani e della loro tragica fine a mano dei soldati della Wehrmacht.
L’eccidio della divisione Acqui è stato ricordato sul luogo dell’accaduto, nel
marzo 2001, dall’allora Presidente Ciampi, in un discorso ufficiale di
commemorazione per “passare” la memoria alle nuove generazioni: “ai giovani
di oggi, educati nello spirito di libertà e di concordia fra le nazioni
europee, eventi come quelli che commemoriamo sembrano appartenere a un passato
remoto, difficilmente comprensibile. Possa rimanere vivo, nel loro animo, il
ricordo dei loro padri che diedero la vita perché rinascesse l'Italia, perché
nascesse un'Europa di libertà e di pace. Ai giovani italiani, ai giovani greci
e di tutte le nazioni sorelle dell'Unione Europea, dico: non dimenticate”.
Nel 2005, durante una vacanza nell’isola, stavo passeggiando sul luogo
dell’eccidio dei militari italiani con la mia famiglia alla ricerca di quei
monumenti e delle testimonianze del passato. Mi resi conto del degrado e
dell’inutilità anche didattica della presenza di una piramide in mezzo
all’acqua, nel golfo di Argostoli, senza che ci si potesse neanche avvicinare
per leggere dell’accaduto. Rientrato in Italia, scrissi al Presidente Ciampi
per denunciare il degrado del monumento. Passati alcuni mesi ricevette una
lettera da parte del Generale dei Carabinieri Bruno Scandone appartenente al
Commissariato Generale Onoranze ai Caduti di Guerra che annunciava il
ripristino del suo decoro. Due anni dopo, nel 2007, il Presidente Napolitano
festeggiò la liberazione del 25 aprile per la prima volta fuori dalle frontiere
dello stato con un discorso tenuto proprio in quel luogo diventato simbolo
della resistenza al nazi-fascismo.
“…Ricondurre
il complesso monumentale in oggetto ad un adeguato livello di decoro”.
Lettera inviatami dal Commissariato Generale Onoranze ai Caduti di Guerra,
Generale del Corpo dei Carabinieri, Bruno Scandone, 31 Ottobre 2005.
Tuttavia, e benché nell’estate 2005 non
avessi ancora studiato la Public History, pensai allora che Cefalonia
fosse un'occasione persa dagli storici italiani e greci di farsi pubblici e
di offrire contesti ed approfondimenti ai visitatori nei luoghi simbolo della
seconda guerra mondiale. Mancava sul luogo la capacità professionale di dare un
senso storico, alle parole di Ciampi del 2001. Chi raggiunge Argostoli seguendo
le indicazioni stradali per scoprire il monumento alla divisione Acqui, non
porta con sé i risultati della storiografia accademica e, molto spesso, non ha
nemmeno la possibilità di conoscerla. Esistono si, le commemorazioni ufficiali
ed i monumenti, ma non si è provveduto, da parte degli storici professionali,
ad inquadrarli con spiegazioni all’altezza dell’evento. Il museo originato
dall’iniziativa privata del parroco cattolico di Cefalonia consta di una sola
stanza e offre immagini di mostre fotografiche allestite dopo il 2000. Gli altri luoghi ed i
materiali che servirono a girare il film hollywoodiano del 2001, tratto da un
romanzo omonimo di Louis de Bernières, Il Mandolino del capitano Corelli e la trasmissione della
RAI La storia siamo noi non sono integrati in un
percorso storico-didattico con guide qualificate e storici locali capaci di
trasferire la conoscenza del passato -in quel caso della guerra italiana in
terra di Grecia-, ai curiosi e ai villeggianti di passaggio come invece avviene
nella rete.
Immagine
della piramide nel golfo di Argostoli scattata personalmente nell’agosto 2005
prima dei restauri voluti dal Governo italiano.
“Toccare la storia con le mani”: per una presenza di Storia Pubblica ad
Affile, Campo Imperatore, Predappio o Argostoli.
Questi luoghi della Guerra Civile
italiana, hanno accolto fino ad oggi oltre ai reduci del fascismo, anche
visitatori che, come me, appartengono alle generazioni posteriori a chi
combatté nel ’44-’45. Essi hanno permesso di coltivare acriticamente le memorie
divise ed opposte di quel tragico periodo di guerra civile. Durante l’era
berlusconiana, essi hanno inoltre permesso la diffusione di un revisionismo
anche a sfondo politico a favore di una legittimazione delle ragioni dei
combattenti di Salò, e con l’ausilio -libertario e senza filtro- del web, un
media avulso dalla reale partecipazione degli storici accademici. Una presenza
professionale di public historians potrebbe contrastare la diffusione di
memorie acritiche, delle fedi ideologizzate, della visione accecata di un
passato inesistente anche laddove prosperano cortei di nostalgici che
glorificano in modo inaccettabile per uno stato democratico le gesta criminali
di un Graziani e permettono a quelle ideologie a-storiche di imperversare senza
reti. La battaglia contro le memorie di parte, vendute come la “vera” storia
che verrebbe nascosta dai libri delle scuole di oggi, avviene anche negli Stati
Uniti alle prese con la diffusione, nel Sud del paese, di tesi
“neo-confederate” e della “Lost Cause”, la causa persa del Sud.
Comunicare un'altra visione del passato
con i mezzi adatti alle diverse situazioni e ai luoghi che ho citato, e con la
professionalità di chi è abituato a lavorare sul terreno e in contatto con il
pubblico –il mestiere del public historian-, permetterebbe anche di
giovarsi dei risultati della ricerca accademica e della storiografia
scientifica in altre sedi, con altri linguaggi indirizzati ad altri pubblici.
Non vi sarebbero luoghi tabù del passato se esistesse la capacità professionale
di usare anche dei luoghi simbolici del fascismo che spesso, più di tanti
libri, parlano direttamente alla gente, per offrire una visione più complessa
della storia italiana tutta, senza nessun escamotage né cancellazione di
personaggi, momenti e luoghi spesso scomodi come quelli delle ultime pagine
della storia del nazi-fascismo in Italia.
La storia pubblica passa dunque
anche da Affile, da Campo Imperatore e da Predappio oltre che da Argostoli,
laddove si deve poter “toccare con le mani” questo passato nazionale talvolta
scomodo. Per farlo, un vasto pubblico di curiosi non abbisogna affatto dei
nostalgici che dedicano il loro tempo a vegliare la cripta di Mussolini, né
delle manifestazioni di camice nere e di preti compiacenti in occasione delle
celebrazioni della nascita del Duce, e meno ancora delle commemorazioni offerte
dai rappresentati locali dello stato come i sindaci di Predappio e di Affile.
La trasmissione della storia al grande
pubblico non deve essere lasciato ai mecenati nostalgici come l’imprenditore
lodigiano Domenico Morosini, titolare di Villa Carpena in provincia di Forlì,
da lui trasformata in "Villa Mussolini, Casa dei ricordi" oggi
sede di un “Centro Studi Romano Mussolini”; senza parlare di imprese
commerciali come quella di Pierluigi Pompignoli, titolare del "Predappio
Tricolore Souvenir" che vende un oggettistica fascista e imperiale oltre
ai capi di abbigliamento molto richiesti in Italia e nel mondo intero, usando
un sito web di e-commerce che sfrutta il nome del Duce (http://www.mussolini.net/)
o,
infine, di chi stampa etichette per bottiglie di vino con l‘effigie del
Mussolini oltre che di Che Guevara o di Stalin, perché “tanto si vendono”.
Le iniziative private
ed individuali appena menzionate, poco hanno a che fare con la professione di
storico e purtroppo, per avvicinarsi alla conoscenza del passato, esse
diventano de facto vere mediazioni popolari tra visitatori e passato
fascista. Questo enorme pubblico di curiosi potrebbe piuttosto trovare un
beneficio nel consapevole, complesso e persuasivo lavoro in loco di
professionisti della storia pubblica capaci di affiancare con altre iniziative
culturali, queste iniziative individuali, politiche o commerciali e, perché no,
di crearne senza disdegnare di sopperire alla mancanza di fondi pubblici con lo
sfruttamento commerciale di alcuni aspetti della ricostruzione del passato.
Prendendo atto che i luoghi simboli di
questo tipo esistono e continuano a richiamare molte migliaia di visitatori e
di compratori, si potrebbero contrapporre anche progetti culturali di storia
pubblica. Forse la possibilità di introdurre una riflessione storica sulla
guerra non sarebbe dovuto andare persa, ma essere invece sfruttata per
approfondire quello che oggi si presenta soltanto
come un pellegrinaggio sul Gran Sasso d’Italia, finalizzato ad adulare e
santificare acriticamente due figure del nazi-fascismo, il suo capo supremo,
Benito Mussolini e l’ufficiale tedesco che beffò gli alleati portandolo a
conferire con Hitler. Gli storici accademici italiani preferiscono scrivere
della guerra civile nei saggi dotti delle riviste scientifiche e disdegnano il
campo, il lavoro civile di costruzione di una riflessione sul passato che
potrebbe toccare diversi pubblici che non posseggono una conoscenza alta del
passato e che, non sapendo del fascismo e della guerra, intendono recarsi sul
Gran Sasso, a Predappio o a Cefalonia. Sfruttare meglio quelle occasioni per
proporre una più complessa riflessione critica sul passato è opera
professionale specifica dei public historians. Essi vengono formati per
proporre un confronto sul passato anche al di fuori dei luoghi canonici adibiti
al passaggio della conoscenza come la scuola o l’università.
Quale sarebbe allora il compito dello
storico pubblico Italian style? Magari arricchendo un luogo triste e di
fine regime come la camera del Duce a Campo Imperatore con iniziative storiche
che permettessero di parlare dell’armistizio dell’8 settembre, della Guerra
Civile che lì cominciò o aggiungendo ai monumenti commemorativi di Argostoli
una mostra storica capace di sottolineare anche le incoerenze, incertezze e
problematiche irrisolte della storia?
Finora, Campo Imperatore è stato usato
soprattutto per magnificare l’atto di individuale bravura di alcuni ufficiali
tedeschi senza nessun tipo di relazione con l’allora contesto bellico, le sue
cause, il suo rapido divenire guerra civile, con le responsabilità del Duce
nell’aver prolungato la guerra italiana. Il compito specifico degli storici
pubblici, viene a mancare sul Gran Sasso come altrove. La loro mancanza
cumulata all’assenza degli storici di professione -non ovviamente nello studio
scientifico di quei tragici eventi-, nei luoghi stessi della guerra italiana
tra Alleati e esercito nazista aiutato dai miliziani di Salò, non permette di
mobilitare anche queste fonti materiali del passato, quei luoghi che “parlano”
alla gente comune e ricordano il passato bellico per rispondere ai bisogni di
storia ed informare correttamente sul passato.
L’esistenza sul terreno di vivaci
pratiche di Public History, contrasta dunque con l’assenza ufficiale
della disciplina. Oggi se alcuni programmi universitari di Public History
o di Applied History sono disponibili nelle università dell’Europa
continentale e delle isole britanniche, gli “applied historians” o “public
historians” non praticano la loro disciplina in modo cosciente o inseguendo le
pratiche professionali scientifiche di
una disciplina accademica ufficiale chiamata “Public History” e riconosciuta
come tale dal Comité International des Sciences Historiques.
Finora ho avuto modo di mostrare quanto
mancasse la figura del Public Historian sulla scena culturale italiana
nei contesti pubblici e privati. (La storia pubblica passa anche dagli
investimenti dei privati che possono pensare ad un loro tornaconto favorendo il
lavoro degli storici pubblici o impiegandoli direttamente). L’interesse accademico
per quella dimensione pubblica della storia –intesa come pubblici a cui
rivolgersi, linguaggi mediatici da utilizzare e comprensione degli interessi
privati potenziali che esistono attorno ai beni culturali e alla storia in
generale- è spesso soltanto casuale.
In questo
senso, la creazione recente di un’associazione internazionale di Public History come la IFPH (International Federation for Public History), alla quale gli archeologi pubblici sicuramente dovrebbero aderire, potrebbe favorire i contatti tra gli addetti ai lavori e creare nuove reti
attorno alla disciplina per promuoverla nei diversi continenti. La IFPH serve
anche a favorire l’auto-coscienza del lavoro specifico dei public historians,
in una cornice disciplinare internazionale. Per fare ciò, la conferenza annuale della NCPH statunitense
che si terrà nell’aprile 2013 ad Ottawa in Ontario -per la terza
volta nella sua storia fuori dalle frontiere federali in Canada-, permetterà alla
Federazione di presentare delle sessioni e tavole rotonde con un respiro
internazionale e di organizzare la prima assemblea dei suoi soci.
Inoltre,
una conferenza scientifica promossa dalla IFPH avrà luogo ad Amsterdam,
nell’autunno 2014 dopo l’accordo intervenuto a giugno 2012 con il programma di Public
History dell’Università di Amsterdam
e con l’Istituto per gli studi sulla guerra, il genocidio e l’olocausto, il
NIOD
e altri partners olandesi ed Europei. Il tema generale sarà quello della
Storia Pubblica Digitale.
Si spera che ad Amsterdam, molti Public Historians europei avranno l'occasione di partecipare.
L’intero
specchio della Public History statunitense è presentato nell’eccellente
introduzione al campo disciplinare
curata da James B. Gradner e Peter S. La Paglia: Public History.
Essays from the field., Malabar FL: Krieger Publishing Company, 2006.
Constance B.
Schultz, decana della storia pubblica negli USA, fornisce questa definizione
del Public Historian che ho tradotto così: “Gli obiettivi
di base per un'educazione alla storia
pubblica sono quelli di preparare e di addestrare
gli storici alla ricerca storica
tradizionale, all’interpretazione delle fonti e alla
scrittura e di applicare tali competenze
ad una vasta gamma di ambienti
pubblici, al fine di favorire la comprensione del passato a partire da questioni, problemi e interessi del
momento, oltre che di preservare le fonti che rendono questa comprensione possibile.” (“Becoming a Public
Historian”, in Ibid., p.32.).
“Public
History” e “storia pubblica” nella rete”, in Francesco Mineccia e Luigi
Tomassini (a cura di): Media e storia, numero
monografico di Ricerche
storiche,
year 39, n.2-3, Maggio-Dicembre 2009, pp.275-327 e La “Public
History”: una disciplina fantasma? in a cura di
Serge Noiret: Public
History. Pratiche nazionali e identità globale, Memoria e Ricerca, n.37,
Maggio-Agosto 2011, pp.10-35 che include una Premessa: per una Federazione
Internazionale di Public History, pp.5-7.
“L’Albergo Campo
Imperatore, sito a quota 2.200 metri, [è] storicamente noto perché in data 26
luglio 1943 vi fu trasferito il Duce Benito Mussolini […]. Ancora oggi sono a
disposizione dei visitatori gli alloggi, prigionia del Duce.”, Notizie
storiche, in http://www.laquilahotel.it/campo-imperatore/.
“Il 3 settembre
del 1943, nella camera 201 (oggi la 220) dell'unico albergo esistente allora a
Campo Imperatore, venne imprigionato Benito Mussolini […].”, Campo Imperatore. Maggiori
informazioni sull’Hotel e la sua storia sono disponibili.
“Predappio:
scritte infamanti sulla tomba di Mussolini”, tratto da Il Resto del Carlino,
27 novembre 2011 e pubblicato il 28 novembre 2011 nel sito web di Storia in Rete.
Per capire le
motivazioni del “turismo mussoliniano” oggi si veda il servizio di Francesco
Cuozzo, “Mussolini tira ancora” per RaiNews24.it, e il video disponibile in Youtube che offre
numerosi commenti scritti che mostrano l’enorme ignoranza pubblica che circonda
la storia del fascismo.
Mostre
interessanti sono state promosse dal comune di Predappio all’interno della casa
natale di Mussolini, come Il fumetto di propaganda in Italia dalle origini
al 1945 (2008), Predappio in Luce. La Città tra Immagine e
Rappresentazione 1920-1940 (2009), Città di fondazione italiane 1928 –
1942 (2011), Predappio. Città del Novecento (2012), Marisa Mori,
donna ed artista del ‘900, il talento e il coraggio (2012) e infine la
mostra monografica dello scultore futurista fiorentino autore nel 1933 della
testa del Dux a Profilo continuo, “Renato Bertelli, la parentesi
futurista” (2012). (Si veda il sito web della casa natale di Mussolini,
http://www.casamussolini.it/.
Si veda la guida
storico-escursionistica -vero lavoro di “public history”- realizzata per
promuovere i luoghi e la storia della linea Gotica (1944-1945) tra la Toscana,
l’Emilia e la Romagna: Vito Paticchia e Marco Boglione Sulle tracce della Linea Gotica. Il fronte invernale dal Tirreno all'Adriatico
in 18 tappe., Saluzzo (CN): Fusta Editore, 2011.
Gennaro
Carotenuto, storico di mestiere o “giornalista partecipativo”, ovvero public
historian con una presenza pubblica nei blog della rete, ha denunciato l’accaduto nella lista di
discussione dell’associazione di categoria degli storici del contemporaneo, la
SISSCO. (Email di Gennaro
Carotenuto , alla lista
s, Venerdi 10 Agosto 2012 con soggetto “Graziani”.)
Elisabetta
Vezzosi: “I festival di storia e il loro pubblico”, in Contemporanea,
a.XII, n.4, 2009, pp-717-742 e Francesco Catastini: “I festival di storia: una via italiana alla Public History?”, in
Memoria e Ricerca, n.37, Maggio-Agosto 2011, pp.143-154.
Edward Rothstein: “The South
Reinterprets Its ‘Lost Cause’”, 5 dicembre 2011, The New York Times.
Testimonianza
sui luoghi della Acqui da parte di Marisa Gardoni: “Ritorno a Cefalonia”, in L'impegno,
(Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle
province di Biella e Vercelli), a. XXVIII, n. 2, dicembre 2008.
“Chi cerca le
tracce del massacro di 6.500 soldati italiani trova facilmente il bel monumento
ai caduti della divisione Acqui nei pressi di Argostoli, ma poi è respinto
dalla fitta vegetazione, dalle nuove strade asfaltate, dalle costruzioni
moderne che hanno sostituito i vecchi abitati di impronta veneziana distrutti
dal terribile terremoto del 1953.” (Introduzione al libro a cura di Giorgio
Rochat e Marcello Venturi: La Divisione Acqui a Cefalonia: settembre
1943, Milano, Mursia, 1993. Disponibile sul sito dell’ISRAL.
“Promotore e
animatore dell'iniziativa, il parroco cattolico di Cefalonia, padre Severino
Trentin, ebbe modo … di esporre a mia sorella e a suo marito gli obiettivi del
suo lavoro e dell'Associazione Mediterraneo nella sistemazione del materiale
esistente. Il fine era una più ampia e diffusa conoscenza di ciò che era avvenuto
sull'isola durante la seconda guerra mondiale. … Anch'io, … ho visitato
Cefalonia nel luglio di quest'anno e già alla prima sera di permanenza
sull'isola ero al museo, collocato in un piccolo locale vicino alla chiesa
cattolica di Argostoli, nella centralissima e commerciale via Lithostroto.”,
Marisa Gardoni: “Ritorno a Cefalonia”, cit..
Antonino
Criscione, Serge Noiret, Carlo Spagnolo e Stefano Vitali: La Storia a(l)
tempo di Internet: indagine sui siti italiani di storia contemporanea,
(2001-2003)., Bologna, Pátron editore, 2004.