Pubblico qui sotto estratti di una mia lettera inviata agli amici umanisti digitali italiani prima della riunione plenaria per eleggere gli organi direttivi, nel giugno 2011, dell'Associazione per l'Informatica Umanistica e la Cultura Digitale. L'associazione era stata fondata il 25 marzo 2011 a margine di THATCamp Florence tenutosi all'Istituto Universitario Europeo.
Poi si discussero gli articoli del Manifesto per i Digital Humanities siglato a THATcamp Parigi nel settembre 2010, il sabato 26 marzo 2011 tra umanisti digitali italiani e francesi, questi ultimi rappresentati, tra gli altri, da molti membri del LAMOP di Parigi 1, da Marin Dacos e Pierre Mounier di Open Editions, da Frederic Clavert del CVCE, da Philippe Rygiel del Centre d'Histoire Sociale del 19° secolo, e di molti altri colleghi francesi.
Scrisse allora Anna Maria Tammaro, appena eletta presidente:
"La neonata Associazione ha subito iniziato a svolgere un ruolo di collaborazione internazionale. Si è infatti partecipato all’ Unconference THATCampFlorence, presso l’Istituto Universitario Europeo dal 23 al 26 marzo 2011. Durante una sessione insieme ai colleghi francesi, il 26 marzo, ci si è accordati sul Manifesto francese delle Digital Humanities come strumento che può raccogliere la comunità di pratica degli studiosi che si riconoscono nell’Informatica Umanistica. [...] Il Manifesto sarà aperto alla discussione ed alla sottoscrizione di studiosi ed istituzioni in Europa, per la sua più ampia condivisione. Un sito dal nome Humanistica segna questa prima tappa europea."
Volevo contribuire ad una definizione non restrittiva del campo della Digital History, dei Digital Humanities -o Umanistica Digitale- e scrissi nel gennaio 2011 al gruppo costitutivo dell'associazione d’informatica umanistica italiana del quale facevo parte che,
"non condividevo l'impostazione che limitasse alla sola informatica applicata alle discipline umanistiche la fondazione dell'associazione almeno che, appunto, l'associazione che Rinascimento Digitale ed Anna Maria Tammaro avessero in mente fosse [stata soltanto] di informatica umanistica e non di cultura digitale che riguarda invece un pubblico più vasto e molte altre professionalità, sempre in ambito umanistico.
Da quando il web è nato, forse mi
sbaglio non essendo un cultore della materia, penso che le carte in tavola
(quasi mezzo secolo di discussioni sull'uso del computer nelle nostre
discipline) sono state rimescolate profondamente.
Per la storia, l'aveva già fatto Lawrence Stone alla fine degli anni '70 con il suo ex-collega del 1938 alla Sorbonne, Emmanuel Le Roy Ladurie, negando alla scuola delle Annale e alla storia seriale e alla statistica maneggiata dall'informatica di potere riempire "tutta la storia". Anche oggi, a me pare che l'informatica non riempi l'ambito più vasto della cultura digitale umanistica nell'epoca del web anche se ne è uno strumento principe. Le nostre società vengono trasformate dalla cultura digitale profondamente, dalle relazioni sociali all'uso di concetti esistenziali, dall'utilizzo del tempo stesso delle nostre esistenze, dalle attività ludiche allo studio e alla comunicazione di massa, da nuovi messaggi culturali offerti da tradizionali istituzioni culturali (biblioteche, archivi, musei) alle politiche culturali e di conservazione del patrimonio culturale, anche in ambito umanistico, alla creazione artistica, ecc.. Un scienziato della cultura digitale è anche, in Italia, solo per fare un nome, Umberto Eco che poco penso sappia di Informatica, ma molto dell'impatto del digitale, sopportato dall'informatica, sui nostri "mores", pratiche, tecniche e linguaggi comunicativi. Infatti, uno dei problemi maggiori analizzati nell'ambito della storia digitale questi ultimi anni sono i linguaggi ponti per comunicare con il linguaggio dell'"altro", ovvero lo storico del digitale, l'archivista, il bibliotecario, l'operatore dei musei, con l'informatico (umanistico) nel realizzare progetti **culturali** di storia digitale per il medium cannibale, il web.
Sempre che non fosse accettata quest'interpretazione più larga del concetto "digitale" -"culture numérique" ou "humanités numériques" si dice in francese- non si potrebbe allora convocare "tutti" in un'associazione per il digitale con chi, nei vari ambiti professionali umanistici menzionati, s'interessino, riflettino, costruiscano questi linguaggi, queste pratiche e questi oggetti **culturali** nuovi. Se non fosse così, dovremmo invece ritornare alle caratteristiche intrinseche delle nostre singole discipline e fondare un'associazione di storia digitale, un altra di linguistica digitale, di archeologia digitale ecc. ed aspettare le calende greche per federarci..., non vi pare ?
Per la storia, l'aveva già fatto Lawrence Stone alla fine degli anni '70 con il suo ex-collega del 1938 alla Sorbonne, Emmanuel Le Roy Ladurie, negando alla scuola delle Annale e alla storia seriale e alla statistica maneggiata dall'informatica di potere riempire "tutta la storia". Anche oggi, a me pare che l'informatica non riempi l'ambito più vasto della cultura digitale umanistica nell'epoca del web anche se ne è uno strumento principe. Le nostre società vengono trasformate dalla cultura digitale profondamente, dalle relazioni sociali all'uso di concetti esistenziali, dall'utilizzo del tempo stesso delle nostre esistenze, dalle attività ludiche allo studio e alla comunicazione di massa, da nuovi messaggi culturali offerti da tradizionali istituzioni culturali (biblioteche, archivi, musei) alle politiche culturali e di conservazione del patrimonio culturale, anche in ambito umanistico, alla creazione artistica, ecc.. Un scienziato della cultura digitale è anche, in Italia, solo per fare un nome, Umberto Eco che poco penso sappia di Informatica, ma molto dell'impatto del digitale, sopportato dall'informatica, sui nostri "mores", pratiche, tecniche e linguaggi comunicativi. Infatti, uno dei problemi maggiori analizzati nell'ambito della storia digitale questi ultimi anni sono i linguaggi ponti per comunicare con il linguaggio dell'"altro", ovvero lo storico del digitale, l'archivista, il bibliotecario, l'operatore dei musei, con l'informatico (umanistico) nel realizzare progetti **culturali** di storia digitale per il medium cannibale, il web.
Sempre che non fosse accettata quest'interpretazione più larga del concetto "digitale" -"culture numérique" ou "humanités numériques" si dice in francese- non si potrebbe allora convocare "tutti" in un'associazione per il digitale con chi, nei vari ambiti professionali umanistici menzionati, s'interessino, riflettino, costruiscano questi linguaggi, queste pratiche e questi oggetti **culturali** nuovi. Se non fosse così, dovremmo invece ritornare alle caratteristiche intrinseche delle nostre singole discipline e fondare un'associazione di storia digitale, un altra di linguistica digitale, di archeologia digitale ecc. ed aspettare le calende greche per federarci..., non vi pare ?
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Forse oggi, degli "stati generali" dei Digital Humanities in Europa accetterebbero di convogliare verso una definizione larga più legata alla "cultura digitala umanistica" e meno all'uso dello strumento informatico soltanto ?
Forse oggi, degli "stati generali" dei Digital Humanities in Europa accetterebbero di convogliare verso una definizione larga più legata alla "cultura digitala umanistica" e meno all'uso dello strumento informatico soltanto ?